Benedetta de Falco è giornalista del "ROMA"
e de "IL GIORNALE DI NAPOLI", sulle cui pagine scrive di
politica e cultura. E' segretaria di redazione del periodico culturale IL
CERCHIO.
Ha particolarmente approfondito il tema del ruolo
della donna e della condizione femminile durante il Ventennio e la RSI. Su
tale argomento sta raccogliendo materiale per una monografia di prossima
pubblicazione.
Benedetta de Falco riceve le congratulazioni di
Marisa Precchia
Inizio con una considerazione che si
è fatta strada in me proprio durante questa mattinata di studio.
La clandestinità fu una necessità,
nata dalle persecuzioni rivolte a chi professava gli ideali del Fascismo,
fu una condizione che si impose a chi non rinunciava all'Idea. Dunque fu
una scelta dettata dalla necessità. Compiuta questa premessa dirò che ciò
che più mi sorprende è che un gran numero di persone all'indovina dell'8
settembre del 1943 sentirono la necessità della clandestinità, o cioè
per essere più chiari e scoprire tutte le carte, un gran numero di
persone avevano un'Idea che non volevano tradire. Ed è proprio l'Idea non
tradita che, nonostante tanta storiografia di parte, salva queste persone
da tanti gratuiti commenti negativi. Tra le persone che sentirono la
clandestinità una necessità ci furono molte donne, tante, tantissime
donne con un'Idea. Alcune di queste si riunirono nel MIF, il Movimento
Italiano Femminile Fede e Famiglia, che nei primi anni in cui operò fu un
movimento di solidarietà clandestina. Sono trascorsi trenta anni dal 10
marzo del 1968, giorno in cui morì in un tragico incidente stradale, nei
pressi di Cosenza, la principessa Maria Pignatelli di Cerchiara: la
fondatrice e l'anima del MIF. Nata a Firenze il 24 marzo del 1894 aveva
sposato in seconde nozze il principe Valerio Pignatelli. Alcuni giorni
prima di morire aveva cercato di consegnare, alla signorina Emanuela Travo
di Cosenza, l'archivio del MIF del quale era stata la segretaria generale
fin dalla sua fondazione. Non avendola trovata in casa incaricò l'avv.
Ugo Verrina, ultimo legale del MIF a Cosenza, di espletare le formalità
necessarie per il deposito degli atti nel locale Archivio di Stato,
deposito che venne regolarmente effettuato nel novembre del 1969. Maria
Pignatelli ed i suoi collaboratori avevano prestato particolare attenzione
al resoconto dell'attività del MIF costituendo un Archivio. Fin dai primi
mesi di vita il movimento si preoccuperà della propria
"memoria", sia ponendo particolare cura alla tenuta del
materiale documentario, cura che più volte sarà raccomandata alle sedi
periferiche, sia compilando minuziosi resoconti di ogni piccola attività.
Le 93 buste dell'Archivio del MIF, depositate come dicevamo poc'anzi nel
1969, restano per oltre un decennio nei depositi dell'Archivio di Stato di
Cosenza, e nessuno si preoccupa di consultarle o utilizzarle anche perché,
a primo acchito, esse appaiono di scarso interesse storico ed
archivistico. In realtà esse celavano una realtà sconosciuta e
insospettabile. Ma andiamo con ordine. La nostra storia ha inizio il 16
aprile 1944 a Gargnano, sul lago di Garda, al tempo dimora e sede del capo
del governo della RSI Benito Mussolini. Qualche giorno prima la
principessa, dopo aver attraversato le linee nei pressi di Cassino, munita
di un salvacondotto americano aveva raggiunto Roma con il pretesto di
visitare i figli gravemente malati. E' giusto chiedersi come mai la
principessa tentava di raggiungere Roma. Bisogna andare indietro di
qualche anno, a quando le sorti della guerra volgevano al peggio e lo
Stato Maggiore dell'esercito ed il segretario del PNF, Scorza,
progettarono un piano per la resistenza ad oltranza alle spalle del nemico
in caso di invasione. Fu deciso di istituire, in accordo con il Duce, un
reparto speciale le "Guardie ai Labari" ed al comando di tale
organizzazione venne designato il principe Valerio Pignatelli.
All'indomani dell'8 settembre questa organizzazione ebbe necessità di
ricevere istruzioni dal Duce e così fu scelta Maria Pignatelli che, in
quanto donna, avrebbe sortito meno sospetti. Nella capitale la principessa
si recò da alcuni amici e da lì, a cura dell'ambasciata tedesca, venne
trasportata in aereo a Gargnano, dove finalmente incontrò Benito
Mussolini.
Su questo colloquio, fino ad oggi, non
è trapelato nulla, ad eccezione di alcune supposizioni mai avallate da
prove concrete. Ma durante il primo congresso nazionale del MIF, tenutosi
a Roma dal 3 al 5 gennaio 1950, la principessa "Il MIF nacque
nell'aprile del 1944 sulle sponde di un lago. Là ci fu detto che a quelle
donne italiane che erano state sole a non tradire si sarebbe dato il più
alto riconoscimento e intanto ci si dava il più alto dei compiti: tener
viva la fiamma ed intorno ad essa riunire e collegare gli italiani non
dimentichi a compiere atti di solidarietà, fu detto: ritrovatevi
nell'assistenza!". E fu proprio in quegli stessi giorni, strana
coincidenza, che venne istituito il SAF, Servizio Ausiliario Femminile
della R.S.I. La coincidenza del periodo, la sostanziale identità di
intendimenti e di compiti, la esclusiva composizione femminile, fanno
pensare che nelle intenzioni di Benito Mussolini, i due movimenti dovevano
essere quasi due facce della stessa medaglia, destinato l'uno alle terre
occupate, l'altro ai territori della R.S.I. Al rientro da Roma la
principessa fu arrestata a Napoli e condotta, dopo ripetuti trasferimenti,
al campo di Rimini dal quale evase trovando ospitalità in territorio
vaticano, in casa della famiglia Gattoni. Sarà lì che, intorno alla
principessa e a monsignore Silverio Mattei, si cominceranno a riunire un
gruppo di donne con l'intento di organizzare azioni comuni per dare
assistenza agli ex appartenenti alla R.S.I. Fu pertanto solo nel 1946, e
precisamente il 28 ottobre, anniversario della marcia su Roma, che il MIF,
elesse i suoi organi statutari: venne eletta in consiglio nazionale per la
regione Campania Anna Dinella, di cui parleremo più avanti. Tra i primi
compiti del MIF, che è opportuno ribadire agì durante i primi anni in
semi clandestinità, fu quello di cercare le superstiti ausiliare che poi
quasi sempre confluirono nel movimento. Il primo gennaio 1948 iniziarono
le pubblicazioni, sotto la direzione di Amedeo Ambrosi, del giornale
"Donne d'Italia". Il periodico intendeva essere l'organo di
collegamento tra i comitati locali e dare spazio a quanti, tra scrittori e
giornalisti, erano caduti in disgrazia avendo essi mantenuto fede agli
ideali fascisti. Il ruolo politico svolto dal MIF fu in più di una
occasione scomodo e oggetto di discussione con il MSI di Almirante, anche
se molti iscritti al MIF erano poi anche iscritti al Movimento Sociale
Italiano. Ma la collaborazione tra MIF e MSI verrà sancita più tardi, il
13 marzo 1952, da donna Rachele Mussolini, quando ella era presidente
della Giunta Esecutiva Centrale del MIF. Ma il campo dove meglio di ogni
altro il Movimento Italiano Femminile espresse appieno le proprie
potenzialità fu indubbiamente quello educativo-assistenziale, in cui
investì la quasi totalità delle sue energie. Il MIF tese dunque ad un
duplice intervento: da una parte l'assistenza morale, giuridica e
materiale agli ex appartenenti alla R.S.I., imprigionati in seguito a
giudizio emanato dalle Corti di Assise Straordinarie (erano state
istituite con Decreto Legislativo Luogotenenziale n.142 del 22 aprile
1945), e dall'altra l'aiuto ai latitanti e ai fuoriusciti dei quali venne
favorito l'espatrio, se non addirittura il cambio di identità.
Nell'Archivio di Stato di Cosenza infatti vi sono depositate le
dettagliate relazioni che riguardano proprio le richieste di aiuto per i
detenuti politici. L'assistenza ai detenuti consisteva nell'invio agli
stessi di pacchi contenenti generi di prima necessità, sigarette,
indumenti vari, oggetti di uso personale, sia nell'assistenza legale
gratuita al fine di provvedere all'inchiesta di revisione del processo,
alla difesa in prima istanza, al ricorso in Cassazione, alle richieste di
grazia e libertà condizionale.
All'assistenza diretta si preferì
quella attraverso le famiglie con una specie di "madrinato" teso
a favorire i contatti umani. Molti dei prigionieri una volta usciti dal
carcere furono poi reinseriti nella società grazie alle stesse famiglie
che se ne continuarono a prendere cura. Tra gli assistiti del MIF c'erano
anche uomini molti noti: il maresciallo Rodolfo Graziani, il gen. Adami
Rossi, Valerio Borghese, Edvini Dalmas Dini, comandante delle truppe
aviotrasportate della RSI, Clemente Graziani, poi leader di Ordine Nuovo e
la giovane Carla Costa, l'agente "volpe azzurra" del Servizio
Speciale autonomo.
Nel gennaio del 1950 il Pontefice Pio XII concesse
udienza alle appartenenti al MIF lodandone l'attività svolta. Infatti se
il MIF poté nascere ed operare nei primi difficili anni ciò fu dovuto
soprattutto alla collaborazione di larghi strati della gerarchia e del
movimento cattolico. Chiese, canoniche, conventi furono più volte luogo
di rifugio e di asilo per quanti ancora temevano le insidie della piazza o
il giudizio dello stato democratico. Il MIF ebbe a Roma ed a Napoli nuclei
di azione molto incisivi, anche come numero di soci. A Napoli nel 1948
infatti le iscritte erano 163, oltre ad un folto gruppo di nobili signore
che erano moglie o figlie di uomini politici molto in vista all'epoca. Un
dato certo è che molto fu fatto a Napoli e in Campania, soprattutto
grazie alla completa dedizione di Anna Dinella, segretaria regionale del
MIF. Non è stato semplice ricostruire l'esatta composizione del Comitato
del MIF di Napoli. Attraverso i ricordi di alcune iscritte ho saputo che
era così composto: Maria del Pezzo di Cajanello, presidente, consigliere
Aristea Tosti Roberti, la duchessa Marika de Giovanni di Santa Severina,
alla quale più tardi passò la presidenza, Virginia Vitolo, Elena
Sgrosso, Maria Monticelli, Elena Rega, Maria Matthieu, Margherita Ferrari,
Ulla Grifeo Gravina, Lilla Barbieri, Vittoria Capece Galeota, Adriana
Guercia, Anna Montinari, Ninì Morone, segretaria della sede del MIF di
Portici, Anna Tilena, la duchessa Zagari con le due figlia, Pia Gobbi.
Inoltre partecipavano ad alcune riunioni: Laura Leonetti di Santojanni, la
marchesa d'Aquino, Foscarina Borsaro Frongillo, Anna Buonocore, la
duchessa Bice Caracciolo d'Acquara, la principessa Maria Caracciolo di
Vietri. La sede del MIF era stata concessa gratuitamente dall'allora
sindaco di Napoli Buonocore e si trovava all'interno del Maschio Angioino.
Da lì partivano tutti gli interventi del gruppo napoletano del movimento.
Aristea Tosti ricorda: "Andai insieme con Maria Matthieu, Anna
Dinella e Marika de Giovanni al Carcere di Procida a visitare 21 detenuti
che gli inglesi avevano fatto prigionieri. Per attrarre l'attenzione, in
quanto erano stati dimenticati, facevano lo sciopero della fame". Ed
infatti nei giorni seguenti l'On. Gianni Roberti, su spinta del MFI, fece
una interrogazione parlamentare all'allora Ministro della Giustizia
Grassi. I giovani poi furono scarcerati. Nel penitenziario di Procida
all'epoca di fatti, siamo negli anni '48-'50, vi erano molti detenuti
politici per i quali il MIF si adoperò: Bonino Bonci, federale di Novara,
Giulio Baghino, ufficiale della X MAS, che fu poi deputato nelle file del
MSI ed è attualmente presidente nazionale dell'Associazione Combattenti
della RSI, Domenico Pisani colonnello della Guardia Nazionale Repubblicana
ed il colonnello Rocchi prefetto di Perugia che, una volta scarcerato per
intervento del MIF, fu ospitato in casa della contessa Zagari. Il MIF aiutò
anche Giuseppe Pizzirani, l'ex segretario del P.F.R., che venne a Napoli
appena uscito dal penitenziario di Livorno. Francesco Fatica proprio nel
volume "Mezzogiorno e Fascismo clandestino" ricorda che Maria
Monticelli si adoperò personalmente per cercare le salme dei soldati
della R.S.I. fucilati dagli anglo-americani a Nisida la mattina del
31/5/1944 e che erano state "trasportate al Cimitero della Pietà di
Napoli, con la formale qualifica di Ignoti ed il cartello "Non si
tocca - Interrato dal Comando Alleato". A loro sarà data cristiana
sepoltura solo nel 1953. Numerose furono le feste di beneficenza per
raccogliere fondi ed aiutare le famiglie cadute in disgrazia. Con questi
fondi fu aiutata (memoria Tosti) la famiglia di Domenico Tilena, ultimo
segretario del Partito Fascista di Napoli, all'epoca rinchiuso a Procida.
Il legale del MIF era l'on. Nando di Nardo che prestava gratuitamente la
sua opera prodigandosi per scarcerare i detenuti politici segnalati dal
Movimento. In più di una occasione alle riunioni del MIF erano presenti
Rachele e Vittorio Mussolini che all'epoca vivevano ad Ischia. Il ruolo
del MIF fu dunque determinante per quanti furono imprigionati, emarginati,
perseguitati per la loro fede politica. Questa massiccia mobilitazione
volontaria femminile si spiega solo se si pensa che durante il fascismo la
donna fu spinta a ricoprire un ruolo molto incisivo nell'ambito della
società: una donna, non solo moglie e madre, ma anche lavoratrice e
soprattutto membro attivo ed indispensabile della Nazione. Questa dunque
in sintesi la storia del MIF contenuta nelle polverose e dimenticate carte
dell'Archivio di Cosenza e raccolta da Roberto Guaraschi nel volume
"La lampada e il fascio".
Questa fu la storia che fece dire ad
Alessandro Pavolini: "Bisogna essere stati perseguitati, oppure avere
avuto contro di se la massa, per capire che cosa valga una donna nella
vita di un uomo".
Concludo ricordando le parole scritte dalla
principessa Pignatelli in una circolare inviata nel 1952 a tutte le sedi
periferiche del MIF. La principessa Pignatelli aveva infatti ribadito
l'importanza dell'Archivio quale elemento indispensabile per elaborare la
memoria storica del MIF: "So che a tutte voi è caro che del MIF
resti la storia. Negli archivi delle varie sezioni resteranno le relazioni
dettagliate con i nomi e le lettere, ma in una pubblicazione destinata al
lettore anonimo noi vogliamo cogliere quello che è stato il senso
profondo della nostra organizzazione, ispirata alla solidarietà tra gli
uomini. Ed io penso e credo che voi tutte la pensiate come me che, anche
attenendosi alla massima esattezza, ci sia materia per una storia viva di
questi anni dolorosi".