Ringrazio Francesco Fatica ed Uccio De Santis per avermi invitato a parlare di un argomento poco studiato nella pur sterminata bibliografia che riguarda le due città vesuviane. I motivi di questa ‘dimenticanza’ sono probabilmente da imputare alla difficoltà di affrontare in maniera obbiettiva luci ed ombre di un periodo rispetto al quale sembra non sia stata ancora raggiunta una sufficiente distanza emotiva[1]. Il discorso appare molto più complesso di quello solitamente portato avanti del mito di Roma e dell’uso propagandistico dell’archeologia da parte del regime fascista. L’archeologia fra le due guerre è legata spesso a figure di valenti archeologi che con il loro impegno ed il loro lavoro hanno segnato il campo degli studi in una prospettiva che va oltre la strumentalizzazione politica. Proprio a Pompei ed a Ercolano, siti di cui mi occupo in questo contributo, è possibile cogliere per il periodo in esame, aspetti decisamente innovativi sia sotto il profilo della ricerca archeologica, che della fruizione turistica.
Prima di entrare nel vivo dell’argomento è necessario tracciare un breve quadro di introduttivo. A Pompei gli inizi del XX secolo erano cominciati in un clima di roventi polemiche. Il sistema di esplorazione dell’agro pompeiano, effettuato col sistema delle concessioni di scavo ai privati, si era rilevato disastroso, favorendo la dispersione di reperti e pitture. Il caso più eclatante e che indignò l’opinione pubblica e gli intellettuali, fu la vendita da parte del concessionario di scavo, Vincenzo De Prisco, del famoso tesoro di argenteria trovato a Boscoreale, e donato poi al Louvre dal banchiere Rothschild[2]. Lo scandalo coinvolse anche il direttore degli scavi di Pompei, Giulio De Petra, che venne rimpiazzato con lo storico Ettore Pais, poco tagliato per le ricerche archeologiche, e presto sostituito con Antonio Sogliano (1905-1910). Il Sogliano era un ottimo archeologo, grande conoscitore di Pompei, dove aveva già lavorato come ispettore[3]. Egli si fece anche promotore di un ambizioso ed articolato piano d’intervento che prevedeva l’esplorazione del sottosuolo della città, per individuarne le fasi di epoca preromana[4]. Ma toccò al suo successore, Vittorio Spinazzola, riportare Pompei, per così dire, agli onori della cronaca. Spinazzola fu soprintendente agli scavi dal 1911 al 1923. Ultimamente sull’immagine positiva e laudativa di questo archeologo sono stati avanzati dei dubbi, in particolare sul piano delle protezione di cui godette[5]. In ogni caso, anche grazie all’amicizia che lo legava all’allora ministro del tesoro, l’onorevole De Nava, ottenne una notevole dotazione finanziaria per il suo programma di scavi e restauri a Pompei. Già nel primo anno del suo mandato iniziò dunque un’importante opera di disseppellimento dell’intera via dell’Abbondanza (FIG. 1), la strada principale dell’antica Pompei, che attraversa la città in tutta la sua lunghezza, dal Foro fino a Porta Sarno (FIG. 2). La strada era il cuore commerciale della città antica e lo scavo mise in luce una quantità di botteghe con le antiche insegne, iscrizioni elettorali e programmi di giochi gladiatori vergati sui muri della via più frequentata, eco di una città pulsante ed attiva, cristallizzata dall’eruzione del 79. Lo Spinazzola pose una particolare attenzione ad elementi architettonici fino a quel momento trascurati, come per esempio i piani superiori, i tetti, i balconi, le finestre (FIG. 3), che fece restaurare filologicamente restituendoci una immagine più viva della città e della sua principale arteria[6].
Naturalmente lo scoppio della Prima Guerra Mondiale determinò un rallentamento nei lavori di sterro, che nel maggio del 1915 vennero quasi completamente sospesi. Né la felice conclusione della guerra mutò questo stato di cose: l’Italia, sebbene vittoriosa, era sconvolta economicamente e socialmente, e nonostante l’interesse del re e del principe ereditario l’attività degli scavi rimane praticamente quasi ferma[7].
Fu solo con l’avvento del fascismo che i lavori conobbero un nuovo impulso[8]. Alcune importanti scoperte ravvivarono l’interesse del mondo intero per i siti vesuviani, come si evince dal fatto che a questo periodo risale anche l’interesse della stampa turistica per Pompei (FIG. 4). Agli scavi di Via dell’Abbondanza è dedicato il primo servizio su Pompei apparso sulla rivista le Le Vie d’Italia[9], la rivista del Turing club, pubblicata mensilmente dalla fine dell’Ottocento e considerata una delle più serie ed apprezzate in Italia per quanto riguarda il settore turistico[10]. L’articolo è del luglio 1923, e fu scritto da un insigne archeologo, Guido Calza (direttore degli scavi di Ostia) con il titolo “Pompei che rinasce”[11]. Negli stessi anni (1923-24) e con un titolo analogo “Pompei risorta”, Margherita Sarfatti dedica a Pompei un articolo sulla rivista Dedalo, sostenendo che la città che si andava disseppellendo aveva impressionanti analogie con le forme del mondo contemporaneo[12].
Dal 1924 al 1961 è la lunga direzione degli scavi tenuti da Amedeo Maiuri, la più proficua sotto il profilo degli scavi, degli studi ed anche della fruizione turistica[13]. In un primo tempo al Maiuri venne ordinato di conservare, restaurare, riordinare, ma non di scavare, ordine che l’appassionato archeologo cosa non riuscì ad eseguire. Come egli stesso ebbe a dire: “Ubbidii formalmente, ma ritenendo che lo scavo di Pompei non potesse arrestarsi del tutto, mi limitai a riprenderlo dalle cose che Spinazzola aveva lasciato incompiute”. Egli dunque riprese gli scavi su via dell’Abbondanza portando a compimento lo sterro di quegli edifici, di cui era stata scoperta solo la facciata, ma non era stato iniziato il disseppellimento totale. Iniziò lo scavo sistematico delle Regiones I e II (FIG. 2), operando in maniera sistematica, da ovest verso est, fino a giungere alla zona dell’Anfiteatro, che veniva così finalmente collegata con l’area archeologica. Queste le tappe fondamentali di questo intenso lavoro:
1925 scavo la casa di Publio Cornelio Tegete o dell’Efebo (I, 7, 11), con il rinvenimento del famoso Efebo di bronzo.
1926 disseppellimento dell’Insula 7 della Regio I, con la messa in luce delle case di Paquius Proculus (I, 7,1-20), del Sacerdos Amandus (I, 7, 7) e di P. Cornelius Teges (I, 7, 11) ornate da splendide pitture tempestivamente pubblicate[14].
1927 Scoprimento della Casa dei Quadretti teatrali (I, 6, 11)
1928-32 Scavo della casa del Menandro (I, 10, 4) con il ritrovamento del famoso tesoro d’argenteria (fig. 5); scavo e restauro della Casa degli Amanti (I, 10, 11). Messa in luce della Villa dei Misteri (1929-31) e la sua divulgazione presso il grande pubblico[15] (FIG. 6).
1932-37 Scavo di Via dell’Abbondanza per congiungere finalmente l’Anfiteatro al resto dell’area archeologica. Messa in luce del piazzale antistante l’Anfiteatro. Scavo della Palestra. Scoperta di Porta Nocera. Isolamento della cinta muraria tra Porta Ercolano e Porta Vesuvio (1933-34).
1937-41 Scavo dell’Insula 8 della Regio I, con la messa in luce delle case della Statuetta Indiana, dei Quattro Stili, e della taverna di Vetutio Placido etc.
Accanto a questa intensa attività di scavo, così succintamente delineata, il Maiuri affiancò un’altrettanto prolifica opera di divulgazione, che annovera circa 400 titoli scientifici e centinaia di scritti divulgativi, che suscitarono intorno a Pompei un crescente e largo interesse, come dimostrano le riviste italiane e straniere dell’epoca[16].
Proprio la conoscenza maturata attraverso lo scavo e la divulgazione scientifica, incentivano un rinnovato interesse da parte degli architetti contemporanei intorno alla struttura della casa pompeiana. Gio Ponti fu il primo architetto a teorizzare un ritorno - soprattutto per le unità abitative unifamiliari - ad alcuni elementi della casa pompeiana, come l’atrio, il porticato, l’uso di vasche e giochi d’acqua[17] (FIG. 7 a-b). Ponti invita gli architetti dell’epoca a ripensare e ad attualizzare la domus romana, facendo numerosi proseliti. Le sue idee vengono accolte, per esempio da Luigi Piccinato, Luigi Figini, Giulio Pollini, Luigi Cosenza, Marcello Canino e altri giovani architetti, influenzati anche dalla lettura dell’antico proposta da Le Corbusier[18].
Questo rinnovato interesse archeologico trovava una corrispondenza nelle opere divulgative per il grosso pubblico, tra cui anche i film di ricostruzione della civiltà greco-romana, punta di diamante della produzione cinematografica italiana del primo Novecento[19] . Per le ambientazioni del film storico viene teorizzata la regola della “restituzione” veridica, perseguita attraverso uno studio attento e capillare dell’antichità. Ma a dispetto del rigore professato, questi film ripropongono spesso gli elementi più retorici e d’effetto della romanità, come gli immancabili leoni nell’anfiteatro o la sguaiata orgia romana. Fanno eccezione alcuni ‘capolavori’, come Scipione l’Africano e Gli ultimi giorni di Pompei realizzati entrambi da Carmine Gallone. Gli ultimi giorni di Pompei realizzato nel 1926 dalla Società Anonima Grandifilms, costituita dai registi Amleto Palermi e Carmine Gallone con il produttore torinese Arturo Ambrosio ed i costumi di Duilio Cambellotti, nella storia del cinema italiano costituisce la quarta versione cinematografica del romanzo di Bulwer Lytton[20]. Il film inizia come un documentario archeologico, con una panoramica dall’alto di Pompei e poi con una serie di scorci nei luoghi ove si articolerà il film[21]. Quindi, con un montaggio a stacco, alle rovine del Foro si sostituisce il Foro ricostruito ed animato degli antichi abitanti. Lo stesso procedimento è riservato alle Terme Stabiane, sulle cui rovine si sovrappone, in dissolvenza, la ricostruzione cinematografica (FIG. 8). L’ambientazione è quanto mai veridica e accurata, non solo nella rappresentazione dell’architettura, ma anche della decorazione, delle suppellettili, del vestiario e degli utensili, il che costituisce un ulteriore pregio in quanto alcune delle pitture riprodotte con fedeltà sono oggi perdute.
Il successo nazionale ed internazionale ottenuto da questo kolossal storico servì ad esportare il cinema italiano all’estero in un momento di grossa crisi del settore e ad accrescere la fama internazionale di Pompei, incentivandone anche il turismo. All’espansione turistica contribuirono anche importanti innovazioni infrastrutturali come l’autostrada Napoli- Pompei (FIG. 9). “Il tratto Napoli-Salerno della strada detta delle Calabrie è uno di quelli della rete stradale su cui si svolge un traffico molto intenso e vario. La circolazione vi è quindi oltremodo difficile, specie per gli autoveicoli, data anche la circostanza che la strada attraversa quasi in continuazione popolosissimi centri abitati. S’imponeva quindi, sia per decongestionare il traffico, sia per le esigenze del turismo, la costruzione di un’autostrada, nonostante le difficoltà che, a differenza di quelle costruite in altre parti d’Italia, essa presentava per l’accidentata configurazione topografica della regione” [22]. La costruzione dell’autostrada iniziò nei primi giorni del 1928. L’ultimazione dei lavori fu il 28 ottobre di quello stesso anno, ma l’autostrada venne aperta al pubblico solo il 22 giugno 1929, per poter terminare la speciale pavimentazione.
Nel 1934 si inaugurò il tronco Torre
Annunziata-Castellammare della Circumvesuviana, con una nuova fermata presso
gli scavi, denominata ‘Villa dei Misteri’.
Nel 1926 venne ristrutturato l’Antiquarium (FIG. 10), che si trovava nei pressi di Porta Marina, con la sostituzione di vetrine più luminose. A supporto della fruizione turistica vennero realizzate anche una serie di manifestazione. Venne effettuata per la prima volta una visita notturna agli scavi di Pompei (FIG. 11), organizzati spettacoli teatrali nel Teatro Grande (FIG. 12) e esibizioni di gladiatori nell’Anfiteatro.
Ma la maggiore impresa del Maiuri fu la ripresa degli scavi di Ercolano, fermi da quasi mezzo secolo[23]. Nel 1927 il Maiuri si rivolse direttamente a Mussolini, il quale acconsentì e fornì i fondi necessari. Il 9 aprile 1927, nella sede della reale Società romana di Storia Patria, Mussolini pronunciava un discorso sulla ripresa degli scavi e sul recupero delle due navi di Nemi[24] : “Mentre qui in Roma si ripristinano per volontà del Governo fascista i monumenti più augusti dell’antichità, non rifatti perché ogni rifacimento sarebbe una stolta profanazione, ma semplicemente dissepolti o liberati dalle parassitarie incrostazioni accumulate in secoli di abbandono, io mi sono proposto di porre mano ad un’opera da lunghi anni vanamente invocata dagli studiosi di tutte le nazioni: la rinascita di Ercolano. [….] Debbo confessare che se in questo momento di assestamento finanziario mi sono indotto ad un sacrificio di denaro per riprendere gli scavi di Ercolano, ciò non potè avvenire «soltanto» per risolvere qualche grave problema di ordine architettonico ed epigrafico o antiquario o per trovare qualche nuovo resto delle antiche strutture. Non «soltanto» ho detto. E queste parole rispondono veramente al mio pensiero. Perché non ignoro né l’importanza di questi problemi, né la luce che da Ercolano può venire. Ercolano non è Pompei…perché se di Pompei fosse veramente una copia in piccolo formato, poco conto ci sarebbe a iniziare lo scavo e tanto varrebbe intensificare ancora gli scavi pompeiani. Le due città sorelle sono di fatto dissimili e ognuna di esse presenta il suo carattere peculiare e la sua fisionomia tutta propria. Diversa era la vita loro e il carattere, l’aspetto di una città è sempre il riflesso e lo specchio della vita che in essa si svolge. […..] A muoverci all’impresa basterebbe l’interesse per molti problemi dell’architettura pubblica e privata dell’antichità che Ercolano potrà risolvere forse meglio di Pompei. Come non ci ha spaventato la spesa, così non ci hanno spaventato le due ragioni che fino ad oggi hanno tenuto lontano il Governo da questi scavi. Difficoltà tecnica per il preteso strato di lava e di tufo che avrebbe ricoperto Ercolano a differenza di Pompei sepolta nelle ceneri e nel lapillo; poca probabilità di fruttuosi trovamenti per i larghi scavi già condotti senza metodo e disastrosamente nei due ultimi secoli. Leggenda è la prima, presunzione gratuita a seconda. […] Gli scavi cominceranno nell’area a sud di Resina e nella parte bassa dell’antica città, verso la linea di confine a mare ormai accertata, in modo che si potrà lavorare allo scoperto e si potranno portare le terre di scarico con poco dispendio fuori dalla zona archeologica”.
Così all’inizio dei nuovi scavi fu solennemente dato
il via il 16 maggio 1927 alla presenza del Re (FIG. 13). Dopo tre anni l’area
dissepolta era di circa mq. 4.500, con più di
Nel 1932 Maiuri pubblicava nella raccolta “Visioni Italiche”, il volume Ercolano, primo resoconto divulgativo degli scavi e anticipatore dei poderosi volumi Ercolano. I nuovi scavi (1927-1958), che videro la luce solo nel 1958.
Nel primo capitolo del volume del 1932 Maiuri scriveva:
“Chi, appena pochi anni fa.. si fosse soffermato a visitare le rovine di Ercolano a cui l’abbandono e il senso di una quasi ineluttabile rinunzia venivano togliendo ogni traccia di vita e ogni speranza di resurrezione, non avrebbe certo… osato sperare quel che oggi, per tenace volontà della Nazione, è realtà che si preannuncia già lieta di risultati e piena di promesse: la ripresa definitiva degli scavi di Ercolano […] Dopo appena quattro anni di intenso lavoro, si è messa in luce un’area di gran lunga superiore a quella che venne saltuariamente e malamente scavata nel lungo periodo che va dal 1828 al 1875[…] Una buona organizzazione di lavoro ed i perfezionati sistemi di scavo, ci hanno rivelato in breve tempo buona parte del quartiere meridionale della città”. Questo immenso lavoro impose la necessità di creare un nuovo accesso, che prima era sul Vicolo del mare, realizzandone uno nuovo su corso Ercolano[26] (FIG. 15).
Il mio intervento dovrebbe chiudersi allo scoppio
della Seconda Guerra Mondiale, ma non è possibile non accennare ad una delle
pagine più tragiche per gli Scavi di Pompei, per l’Archeologia e
Per una fatale coincidenza proprio il 24 agosto, lo stesso giorno in cui era iniziata, nel 79 d.C. l’eruzione che avrebbe distrutto Pompei e le altre città vesuviane, Pompei visse una nuova terribile distruzione e questa volta non per cause naturali, bensì ad opera delle truppe americane. Alle ore 22,30 di quel giorno, alla luce folgorante dei bengala lanciati coi paracadute, gli alleati colpirono il Foro, le case intorno a Porta Marina e l’Antiquarium pompeiano, distruggendo più di 1300 reperti ritrovati in duecento anni di scavi, tra cui i famosi calchi delle vittime dell’eruzione. A quel bombardamento ne seguirono altri motivati dall’errato convincimento del comando Militare Alleato, che tra le rovine si accampasse un’intera divisione Corazzata tedesca. In realtà invece, un solo pezzo di anticarro si trovava sotto una delle arcate dell’autostrada presso l’ingresso degli scavi, ma nonostante ciò Pompei e le sue rovine, divennero un vero e proprio obiettivo di guerra. Dal 13 al 26 settembre furono sganciate sugli scavi più di 150 bombe che distrussero irreparabilmente interi quartieri della città antica (FIGG. 17-18).
Dopo anni di silenzio, il
libro di Laurentino Garcia y Garcia fa per la prima volta piena luce su questo
scempio. Come giustamente si fa notare nel libro, dobbiamo considerare che ciò
che vediamo a Pompei sono le ‘rovine delle rovine’. Al momento dello scavo,
infatti gli edifici riemergono più intatti, i colori delle pitture più fresche,
gli oggetti al loro posto, i mosaici integri e l’attuale degrado dipende
purtroppo dall’incuria o da eventi drammatici come quello ora descritto, a
riprova del fatto che alle volte
Fig. 1 Pompei, scavi in corso in
Via dell’Abbondanza (1912)
Fig. 2 Pianta di Pompei
Fig. 3 Pompei, scavo del tetto
del peristilio nella casa di Cuspio Pansa (I, 8, 1)
Fig. 4 Articolo di G. Calza in
‘Le Vie d’Italia’ (luglio 1923)
Fig. 5 Pezzi di argenteria dalla
Casa del Menandro
Fig. 6 Pompei, Villa dei Misteri
Fig. 7 a-b Giò Ponti, progetto di
villa alla pompeiana (Domus 1934)
Fig. 8 Una scena dal film Gli ultimi giorni di Pompei del 1926
Fig. 9 Autostrada Napoli- Pompei
(19XX)
Fig. 10 Antiquarium di Pompei
Fig. 11 G. Riccobaldi, locandina
pubblicitaria della visita a Pompei di notte (1939)
Fig. 12 Teatro di Pompei,
allestimento scenico dell’Alcesti di Euripide (1927)
Fig. 13 Apprestamento del palco
reale per la cerimonia d’inaugurazione dei nuovi scavi di Ercolano
Fig. 14 Inizio degli scavi di
Ercolano (1927)
Fig. 15 Ercolano, il nuovo
ingresso
Fig. 16 Mussolini guidato da
Maiuri negli scavi di Pompei (1927)
FIGG. 17-18 Pompei, danni del bombardamento americano del 1943
[1] I lavori fondamentali sugli studi classici nel periodo fascista restano quelli pionieristici di Mariella Cagnetta, quelli rivolti all’archeologia italiana in generale di Manacorda, e di F, Scriba, Il mito di Roma, l’estetica e gli intellettuali negli anni del consenso:la mostra augustea della Romanità 1937/38, in Quaderni di Storia, 21, 1995, pp. 67-84
[2] Sulla scoperta, avvenuta
tra il 1894 e il 1900 e la rocambolesca storia della sottrazione del tesoro e
della vendita cfr. C. Giordano, ‘Fatti e
misfatti del tesoro di Boscoreale’, in Sylva
Mala, Boscoreale IX, 1988; L. Oliva, Il
tesoro di Boscoreale. Fatti & misfatti di un prezioso intrigo all’ombra del
Vesuvio, Boscoreale 2002; P.G. Guzzo (a cura di) Argenti a Pompei, Milano
[3] Una
breve nota sull’attività del Sogliano è in Pompei
Ercolano Stabiae Oplontis LXXIX-MCMLXXIX. Mostra Bibliografica, Napoli
1984, pp. 150-151. Un elenco delle numerose pubblicazioni dell’archeologo è in
Garcìa y Garìa, Nuova Biblioteca
Pompeiana. 250 anni di bibliografia archeologica, Roma 1998, II, pp.
1082-1107
[4] Si veda B. Ponticello, ‘Scienza, cultura e cronaca a Pompei nella prima metà del nostro secolo’, in R. Redi (a cura di), Gli ultimi giorni di Pompei, Napoli 1994, pp. 15-24.
[5] F. Delpino, Vittorio Spinazzola. Tra Napoli e Pompei, tra scandali e scavi, in P.G. Guzzo (a cura di), Pompei scienza e società, Milano 2001, pp. 51-61.
[6] Tra le scoperte più interessanti del periodo ci furono:
la casa di Obellius Firmus (IX, 14, 4) nel 1911; il Thermopolium di Asellina
(IX, 11, 2), tra il 1911 e il 1913;
[7] E. Corti, Ercolano e Pompei, Va ed., Torino 1977
[8] E. Corti, Ercolano e Pompei, Va ed., Torino 1977, p. 225 ssg.
[9] Nel 1920 le Vie d’Italia diventa organo dell’Enit (Ente Nazionale Italiano per il turismo)
[10] Un importante elemento emerso dallo spoglio effettuato delle Vie d’Italia a
partire dalla sua prima uscita, è stato che non compaiono articoli che
riguardano Pompei fino al 1923. Questa mancanza di Pompei nelle riviste
specializzate di turismo appare piuttosto curiosa, ma non è un fatto isolato.
Pompei aveva goduto di un grandissimo successo turistico e letterario per tutto
l’Ottocento, ma la sua immagine sembra incrinarsi dopo l’Unità d’Italia. I
motivi di questa assenza sono tutti da studiare. Se si esclude Leopardi, che
dedica a Pompei una straordinaria poesia,
[11] Fino a quel momento
non compaiono articoli che riguardano Pompei. Questa mancanza di un così
importante sito archeologico dalle riviste specializzate di turismo appare
piuttosto curiosa, ma non è un fatto isolato. Pompei aveva goduto di un
grandissimo successo turistico e letterario per tutto l’Ottocento, ma la sua
immagine sembra incrinarsi dopo l’Unità d’Italia. Se si esclude Leopardi, che
dedica a Pompei una straordinaria poesia,
[12] M. Sarfatti, ‘Pompei risorta’, Dedalo a.IV fasc. XI, 1924, pp. 663-689.
[13] C. Belli (a cura di), Amedeo Maiuri. Mestiere d’archeologo, (coll. di studi Antica Madre), Milano 1978
[14] A. Maiuri, Le pitture delle case di “M. Fabius Amando” e di P. Cornelius Teges Reg. I, Ins. 7 (Coll.Monumenti della Pittura Antica n. 6, sez. 3., Roma 1938
[15] A. Maiuri,
[16] Sulla sterminata opera di divulgazione scientifica del Maiuri, si veda C. Belli, A.Maiuri. Mestiere di archeologo, cit. e L. Garcia y Garcia, Nova Biblioteca Pompeiana. 250 anni di bibliografia archeologica, cit., vol. II.
[17] G. Ponti, ‘Una villa alla pompeiana’, in Domus n. 79, luglio 1934
[18] Si veda Pompei e l’architettura contemporanea, in Parametro 261, anno XXXVI Gennaio/Febbraio 2006.
[19] G.P. Brunetta, Storia del cinema italiano. Il cinema muto 1895-1929, I ristampa, Roma 2001.
[20] Sulla fortuna di questo romanzo e delle sue numerose versioni cinematografiche, si veda in ultimo L. Jacobelli (a cura di), Pompei la costruzione di un mito. Arte, letteratura, aneddotica di un’icona turistica, Roma 2008.
[21] Questi elementi sono per gli archeologi estremamente interessanti perché documentano di una Pompei in molti casi diversa e meglio conservata di oggi
[22] Napoli. Le opere del regime, cit., p. 322-326
[23] Iniziati nel 1738, ebbero lunghi periodi di stasi e di riprese. Interrotti nel 1765 furono ripresi nel 1828, e continuarono senza gran fervore fino al 1855. Abbandonati di nuovo, furono ripresi nel 1869, sotto gli auspici del primo Re d’Italia e proseguiti faticosamente fino al 1875, quando si fermarono nuovamente, per le difficoltà tecniche e la vastità dell’impresa, fino alla ripresa del 1927.
[24] Il discorso è riportato da Il Popolo d’Italia, n. 86, 10 aprile 1927, XIV e in Opera Omnia di B. Mussolini, vol. XII, Firenze 19XX.
[25] Napoli. Le opere del
regime dal settembre 1925 al giugno
[26] Il nuovo ingresso, i cui lavori iniziati il 4 luglio 1929 furono ultimati il 21 aprile 1930, è costituito da un’esedra in muratura di mattoni intrammezzata da pilastri. All’interno un viale lungo m. 385 e largo m. 8 conduce, quasi di fronte al vecchio ingresso e alla parte a mare dei nuovi scavi.