La tragedia della Venezia Giulia

 Francesco Fatica

 

L'otto settembre 1943, dopo la proclamazione del cosiddetto “armistizio” (essendosi dissolti i reparti delle Forze Armate italiane nel conseguente scompiglio del “tutti a casa” per mancanza di direttive in seguito alla fuga del re e dei generali) ne approfittarono i partigiani slavi, che premevano ai confini della Venezia Giulia, per tentare di impossessarsi delle terre da loro agognate. E non rinunciarono ad effettuare feroci persecuzioni contro gli italiani che terminavano con la morte più efferata nelle Foibe; questo abominio avvenne, duole dirlo, con la collaborazione fattiva e concreta dei comunisti italiani, che avevano condiviso le scelte, anche quelle più antinazionali ed abiette, dei correligionari slavi.

Va osservato che la reazione tedesca non si fece attendere; truppe della “Wehrmacht” scesero, ai primi di ottobre, ricacciando i partigiani fuori dalla Venezia Giulia, od in posizioni marginali, ma intanto i comunisti avevano trovato il tempo, in meno di un mese, di perseguitare e sopprimere nelle maniere più atroci almeno un migliaio di italiani, colpevoli di essere tali: ci fu una prima allucinante teoria di massacri nelle Foibe.

E' pur vero che, stante lo sfacelo di ogni organizzazione militare italiana, ma anche per la deficienza di una valida organizzazione politico-amministrativa, nel caos che precedette la fondazione della Repubblica Sociale Italiana, tedeschi austriacanti e nostalgici dei fasti imperiali di Vienna, approfittando del clima di rancore per il “tradimento del re e di Badoglio”, brigarono a Berlino per ottenere la costituzione di “zone d'operazioni” in Alto Adige e in Venezia Giulia, con iniziative giustificate col prevalente interesse militare di protezione delle vie d'accesso al territorio del Reich, vie che erano anche di interesse strategico per il rifornimento di materie prime.

In seguito alla costituzione delle Forze Armate della RSI, il Commissario della zona di operazioni “Alto Adriatico”, Friedrich Rainer, pur essendo stata riconosciuta dai tedeschi la sovranità della RSI  sulla Venezia Giulia, frappose ogni sorta di possibile fazioso ostruzionismo e mille pretestuose difficoltà  all'invio di truppe della RSI sul fronte orientale. Tuttavia, in Istria erano dislocati reparti della “Decima MAS”, che avevano le loro basi per i mezzi navali a Pola e nelle isole di Cherso e Brioni; inoltre molti altri reparti erano dislocati lungo la costa dell'Istria fino a Fiume. C'erano anche reparti della GNR (Guardia Nazionale Repubblicana) che nella “zona d'operazioni del Litorale Adriatico” prese il nome di Milizia Difesa Territoriale (MDT). Tali reparti erano numerosi, efficienti e bene armati, ma non avevano consistenza strategica,  perché erano disseminati, e quindi diluiti, in una miriade di corpi di guardia, dislocati a difesa di centrali elettriche, ferrovie, acquedotti, ponti, strade, piccoli centri abitati,  per contenere ed ostacolare le puntate offensive della guerriglia partigiana, ma si trattava in ogni caso di piccoli distaccamenti stanziati in posizioni fisse, senza capacità di manovra, che furono facilmente sopraffatti quando arrivarono i grossi reparti dell'EPLJ, il cosiddetto “Esercito Popolare di Liberazione Jugoslavo”, nel vuoto lasciato dai tedeschi in ritirata.

Più a nord, a difesa di Gorizia, operarono consistenti reparti della Decima, come il Btg. “Fulmine”, il Btg. “Valanga” ed ancora gli Alpini del Btg. “Tagliamento” e i Bersaglieri del Btg. “Mussolini”, che riuscirono a contenere la forte pressione delle formazioni comuniste di Tito, impegnate a conquistare Gorizia  per poi dilagare fino all'Isonzo.

Bisogna purtroppo ricordare che alcune formazioni militari italiane, dopo l'otto settembre, erano passate armi e bagagli, al nemico del giorno prima. La “Brigata Garibaldi”, costituita da circa mille uomini attinti dalla disciolta divisione “Taurinense” e dalla divisione “Venezia”, combatté con cieca obbedienza assieme ai partigiani di Tito. Altri grossi reparti si erano dissolti, lasciando armi, equipaggiamenti e vettovaglie ai partigiani medesimi. Inoltre, il governo del Sud, eseguendo servilmente gli ordini degli Alleati senza porsi scrupoli di ordine morale, inviò a mezzo di aerei della Regia Aeronautica tutto il materiale bellico e di sussistenza ancora disponibile nei depositi. Inoltre, offrì ogni tipo di assistenza agli uomini di Tito anche sul territorio della Puglia, dove furono ospitati migliaia di partigiani con la stella rossa jugoslava in fase di ricostituzione dei reparti, e fra essi, lo stesso Maresciallo Tito che fu curato in ospedale. Ed ancora dobbiamo ricordare che le navi della Regia Marina furono messe a disposizione per effettuare sbarchi di partigiani rossi in Dalmazia, dove furono trucidati tutti gli italiani che non riuscivano a rinnegare la propria patria.

La responsabilità dei misfatti compiuti ai danni di intere popolazioni italiane proprio dagli stessi uomini assistiti ed armati dall'Italia del Sud, ricade dunque anche su chi ebbe tanta “cupidigia di servilismo” da arrivare all'autolesionismo: principali responsabili il piccolo re, Badoglio ed i loro generali, ma anche i politici del Regno del Sud - da Togliatti a Sforza - che ben sapevano dei massacri già compiuti dagli slavi e che conoscevano perfettamente le mire future della Jugoslavia comunista.

Nondimeno,  ci fu anche al Sud chi tentò di imbastire un'operazione di salvataggio della Venezia Giulia. Il Battaglione di Fanteria di Marina “San Marco” si preparava segretamente ad un'operazione patriottica che vedeva la partecipazione entusiastica di volontari, ufficiali e marinai  al comando del Capitano di corvetta, Medaglia d'oro Cigala Fulgosi. Altrettanto clandestino fu il reclutamento di 1300 avieri e paracadutisti al comando del Col. Pilota Angelo Mastragostino , a cui si aggiunsero ancora un migliaio di marinai e volontari di altre armi, fino a raggiungere la forza di 5000 uomini; questa seconda formazione assunse il nome di “Battaglione Azzurro”. Si ha notizia di altre formazioni clandestine di volontari, ma il nome dei comandanti è rimasto finora segreto. Il piano si può riassumere nella programmazione di sbarchi lungo la costa dell'Istria per costituire una serie di teste di ponte, onde bloccare, con l'appoggio della Decima e di altri reparti della RSI,  l'avanzata dei partigiani di Tito, che si prevedeva ineluttabile quando i tedeschi si fossero ritirati.

Il governo del Sud, in un primo momento fu tenuto all'oscuro di ogni cosa: infatti il piano dell'operazione era stato elaborato dall'Ottava Armata britannica, chiaramente con il consenso di Churchill, che aveva cominciato a pentirsi dei gravi errori commessi a Yalta.  E gli inglesi non potevano avere alcuna fiducia in un governo dove non mancavano gli amici di Tito e di Stalin. Contemporaneamente furono tenuti contatti segreti con la Decima MAS, attraverso emissari della Regia Marina venuti dal Nord. Il piano fu erroneamente intitolato all’Ammiraglio De Courten, ma questi, Capo di Stato Maggiore della Regia Marina, era un vecchio marinaio “ligio al dovere”ed assolutamente incapace di effettuare colpi di testa.

Si tentò anche di coinvolgere i partigiani non comunisti della “Franchi” e della “Osoppo”. Collaborarono in un primo tempo elementi della missione militare inglese “Maggiore Nicholson” dell'Intelligence Service, di cui faceva parte il ten. Cino Boccazzi della “Nembo” del Sud  - nome di battaglia “Piave” - che tenne i contatti con la Decima. Ma poi il maggiore Nicholson (nome in codice) ebbe ordine dal Comando supremo alleato di sospendere le trattative.  Altro canale di contatto tra la Decima e i partigiani non comunisti era costituito dall'Ausiliaria Maria Pasquinelli, Agente speciale del Servizio segreto della Decima, che più tardi sarebbe diventata protagonista del 10 febbraio 1947 a Pola. Così avvenne che i partigiani comunisti italiani, messi sull'avviso proprio dai servizi segreti inglesi, sterminarono a Malga Porzus lo stato maggiore della “Osoppo”.

Nettamente contrario al piano di salvaguardia della Venezia Giulia era stato il Ministro dell'Aeronautica del Sud, Gasparotto; ma già Togliatti, il 7 febbraio 1945, aveva inviato una lettera al Presidente del Consiglio Bonomi che intendeva invitare il CLNAI a far si “che le nostre unità partigiane prendessero sotto il loro controllo la Venezia Giulia per impedire che in essa penetrassero unità dell'esercito jugoslavo”. Togliatti esplicitamente avvertiva che questa sarebbe stata “una direttiva di guerra civile” e concludeva: “Non vogliamo nessun conflitto con le forze di Tito […..] ma riteniamo che la sola direttiva da darsi è che le nostre unità partigiane e gli italiani di Trieste  e della Venezia Giulia collaborino in modo più stretto con le unità di Tito nella lotta contro i tedeschi e contro i fascisti”  (Direttiva poi seguita in pieno dai comunisti).

Tuttavia, erano giunti messaggi a Borghese dal Sud; la Medaglia d'oro, Capitano di fregata Antonio Marceglia, l'eroe di Alessandria, era già venuto a riferire a Borghese, e questi aveva riferito a Mussolini. Agenti speciali della Decima passarono le linee più volte e giunsero fino a Taranto, mentre Ufficiali del Sud vennero da Borghese. I contatti segreti tra Nord e Sud si infittivano; i messaggi incitavano, nonostante tutto, ad accorrere in difesa della Venezia Giulia. Erano messaggi del tenore seguente: “Vi preghiamo vivissimamente di mandare uomini nella Venezia Giulia. Basta che voi teniate 24 ore, cioè fin tanto che sopraggiungeranno le nostre truppe”. L'ultimo messaggio arrivò il 23 aprile. Evidentemente al Sud esisteva un consistente gruppo di patrioti che non si erano ancora rassegnati all'imminente olocausto della Venezia Giulia. Mussolini intanto, il 22 aprile aveva dato ordine di trasferire tutti i reparti della Decima nella Venezia Giulia. Ma il tradimento del generale tedesco Wolff non lasciava più  tempo per eseguire quest'ordine. Al comando del reggimento “Istria” della MDT giunse invece l'ordine di raggiungere Capodistria per poi accorrere a Trieste; al contrario, si ritenne da parte di alcuni che sarebbe stato più conveniente resistere ad oltranza nei luoghi già designati, più facilmente difendibili anche con le scarse forze a disposizione: Pola, Buie, Capodistria.

Non si sapeva cosa fosse accaduto: sembrava che un accordo fosse stato concluso con la “Osoppo” ed anche con il locale CLN, ma tutto ormai era confuso. I piccoli reparti della MDT furono annientati facilmente in fase di trasferimento. Iniziarono così le sevizie, culminanti spesso nel rito arcaico dell'assassinio truculento del prigioniero. Le snelle guarnigioni delle basi della Decima e quelle della Marina Repubblicana di Pola vennero sopraffatte da forze esorbitanti. I tedeschi erano in ritirata; e quelli che si arresero vennero massacrati selvaggiamente.

Si scatenarono nei paesi e nelle città i “liberatori”, cioè le orde barbariche dalla stella rossa, in cui erano stati inglobati anche partigiani comunisti italiani. E questa volta ebbero tutto il tempo di imperversare con le più efferate persecuzioni degli italiani: un'allucinante, provocatoria orgia di sangue, che culminava nel rito feroce delle Foibe, un vero e proprio genocidio perpetrato scatenando gli istinti ancestrali di uomini rozzi ed incolti (perfino molti ufficiali di Tito non sapevano leggere né scrivere), con un'accurata “tecnica della ferocia generalizzata” che “creò deliberatamente” il terrore, finalizzato a determinare il preordinato e vagheggiato esodo di 350 mila italiani dalla Dalmazia, da Fiume, dall'Istria e da quelle plaghe della provincia di Gorizia che erano state invase dagli slavi.

In un'intervista di molti anni dopo, Milovan Gilas, Segretario della Lega Comunista Jugoslava, ammise: “Io e Kardelj andavamo in Istria ad organizzare la propaganda anti-italiana […..] bisognava indurre tutti gli italiani ad andar via con pressioni di ogni tipo. E così fu fatto”. Pulizia etnica ! Tale programma era stato fortemente voluto e predeterminato da Tito attraverso il genocidio; ma furono suoi complici gli Alleati e più disonorevolmente, anche gli italiani che si erano prostrati al loro servizio, fornendo con ignominia ai partigiani “liberatori” con la stella rossa armi, mezzi, appoggi incondizionati di ogni genere, e diventandone persino complici in tante azioni militari e politiche.

 

 

Dalla Dichiarazione Atlantica del 12 agosto 1941:

Art. 2 - “Desiderano (i firmatari) che nessun cambiamento territoriale avvenga, a meno che  non sia in accordo con la volontà liberamente espressa dei popoli interessati”.
La Dichiarazione - nota come “Carta Atlantica” - fu firmata dal Presidente degli U.S.A. Franklin Delano Roosevelt  e dal Primo Ministro del Regno Unito Winston Churchill nel corso della loro prima conferenza di guerra. In seguito vi aderirono 35 Stati, fra cui la Jugoslavia. Tenuto conto degli eventi, fu un atto di conclamata spudoratezza.

Oggi finalmente si comincia a comprendere chi fossero Roosevelt, Churchill e Josip Broz detto Tito, ma a Norimberga vanno soltanto i vinti. Tuttavia, la Storia, sia pure con tempi autonomi, ha un proprio Tribunale, il cui rigore indefettibile trascende il diritto positivo perché appartiene alla sfera dell’ethos.

 

 

 

 

Francesco Fatica fece parte del Gruppo degli 88 “fascisti di Calabria”. Fu Presidente del GUF “Rivolta Ideale” dell'Università di Napoli nei primi anni Cinquanta. Collabora alla Rivista “Italia tricolore per la Terza Repubblica”. E' socio fondatore dell'ISSES.  Cura la  per Federazione di Napoli dell'Unione Nazionale Combattenti della RSI  il “Centro Studi e Documentazioni sulla Lotta Clandestina Fascista nelle Terre Occupate dagli Anglo-americani nel 1943 - 1945”.