DONNE IN GRIGIOVERDE
Ricordo di Maria Pasquinelli

Intervento di Marilù Galdieri al convegno “Foibe – La storia in cammino verso la verità”, organizzato dall’I.S.S.E.S. in Napoli, il 28 gennaio 2001.

 

“Io sono sicuro che Voi, Camerate Ausiliarie, terrete fede in ogni circostanza e con animo purissimo al giuramento che oggi avete prestato, e ricordatevi: non lo avete prestato a me, ma lo avete prestato all'Italia!” (Mussolini)

Il 15 settembre 1943, con apposito Ordine del giorno, il Duce costituisce il PFR (Partito Fascista Repubblicano), nel cui ambito sorgono immediatamente i Gruppi Femminili Repubblicani (G.FR) ed i Nuclei di Azione Femminile (NAF), matrice del Servizio Ausiliario Femminile (SAF), costituito a breve: una vera e propria “specialità” della Repubblica Sociale Italiana.
L'uniforme comprende una giacca grigioverde, una gonna pantalone, calzettoni, berretto con visiera; le Ausiliarie delle Forze Armate portano sul bavero i gladi, al pari degli altri militari.
Il distintivo delle Ausiliarie è costituito da un bracciale coi colori bianco, rosso e verde e con le sigle SA. Il bracciale è portato sia dalle Ausiliarie in uniforme, assieme ad uno scudetto con il fascio repubblicano e l'aquila, sia da quelle in abito civile.
Il 18 aprile 1944, il Servizio Ausiliario diventa un corpo dell’ Esercito Nazionale Repubblicano. L’uniforme si adegua all’arma di appartenenza, ed il basco sostituisce il berretto.
Nel successivo agosto sono in servizio duemilacinquecento Ausiliarie ed altre seimila sono in addestramento: il loro motto recita “La fede è come la patria” ed il loro giornale titola “Donne in Grigioverde”.
Altre diecimila sono le donne rimaste alle dipendenze del Partito in forma autonoma, stante l’impossibilità di prestare servizio continuo.
Un migliaio, infine, indossa l'uniforme dell’Aeronautica tedesca (Luftwaffe).
A conti fatti, ventimila donne hanno scelto di battersi nel campo dell’onore.

 

Maria Pasquinelli fu una di loro.
Fiorentina, insegnante a Spalato, laureata in pedagogia, fu Crocerossina in Africa settentrionale e tentò di combattere in prima linea: per raggiungere il fronte si travestì da soldato, ma fu scoperta e rimandata in Italia.
Dopo l'armistizio, in Dalmazia e Venezia Giulia dal 10 settembre in poi si scatenarono vendette gratuite e rappresaglie dei partigiani di Tito.
Maria si impegnò, presso Zara, nella ricerca degli assassinati, cui diede onorata sepoltura, e raccolse una dettagliata documentazione sugli atroci delitti commessi dagli slavi in Dalmazia.
Fu costretta a riparare a Trieste e si arruolò come Ausiliaria della Decima  Flottiglia Mas, operando quale agente speciale del Servizio Informazioni, continuamente in movimento. Su incarico del Comandante Junio Valerio Borghese, fu protagonista di un contatto, peraltro vano, col Regno del Sud e con gli stessi partigiani italiani, nel tentativo di salvare l'Istria, la Dalmazia e la Venezia Giulia (i partigiani comunisti, su ordine di Togliatti, combattevano per l’annessione alla Jugoslavia).
Gran parte della documentazione raccolta dal Servizio Informazioni della Decima si deve al suo forte impegno patriottico.
Raccolse una quantità impressionante di notizie, testimonianze e documenti sulle atrocità perpetrate dagli slavi contro la popolazione italiana, ed ebbe modo di riferire sulle Foibe.
Poi fu presente, a Milano, alla cerimonia di smobilitazione della Decima  ed agli onori tributati alla Bandiera della Repubblica, ammainata dal Comandante.

Il 10 febbraio 1947, mentre a Parigi l'Italia firmava il trattato di pace, a Pola, in segno di protesta e per attirare l'attenzione degli italiani che si disinteressavano di quanto accadeva sul confine orientale,  Maria volse la sua rivoltella contro il Gen. Robert de Winton, massima Autorità alleata nel capoluogo istriano: sostanzialmente, colui che ne avrebbe effettuato la consegna alla Jugoslavia. Lo riconobbe dai gradi ed affidò al testamento spirituale che portava con sé le motivazioni del suo tragico gesto.
Agli occhi di quella giovane donna, De Winton era il simbolo di una libertà perduta: quella delle terre istriane e dalmate. Lo uccise con tre colpi mentre entrava nel comando; subito dopo avere sparato, gettò a terra la pistola ed attese di essere catturata.
Processata e condannata a morte dalle forze d'occupazione alleate, pena poi commutata in ergastolo, rifiutò sempre di chiedere la grazia. Scarcerata nel settembre 1964 per “motu proprio” del Presidente Merzagora, scelse di ritirarsi totalmente a Bergamo, dove vive tuttora, alla vigilia del suo centesimo compleanno (16 marzo).

Durante il processo, che si tenne nel marzo-aprile 1947, Maria  rilasciò, tra le altre, le seguenti dichiarazioni.

L'ho colpito per protesta contro il trattato di pace e solo perché era il massimo rappresentante dei Quattro Grandi a Pola.
Lo avevo visto, di spalle, una sola volta, il martedì precedente l'attentato. Non sapevo nulla di lui, non conoscevo neppure il suo nome.
Quando lo colpii, il generale non ebbe l'impulso di scappare. Dapprima sparai due colpi, anche se mi parve di sentirne uno solo. Lui ebbe l'impulso di voltarsi per vedermi in faccia. Ho nettamente presente lo sforzo che fece per voltarsi verso di me.
Mi sfuggì …sparai il terzo colpo. Solo allora il generale, barcollando, si allontanò verso il Comando.
Rimasi sola. Mi accorsi che la sorpresa mette l'attentatore in enorme superiorità rispetto agli altri.
Di fronte alla sorpresa dei colpi, chiunque avrebbe potuto scappare.
Poco dopo, un soldato avanzò verso di me con il fucile puntato e l'evidente intenzione di non spararmi. Non si avvicinò direttamente, ma camminava cercando quasi di aggirarmi, io tenevo la rivoltella in mano, ma puntata verso terra; gli feci cenno che non intendevo sparare, ma egli non poteva capire. Allora posai la rivoltella per terra.
Mi prese e mi condusse al Comando”.

Non ha mai voluto parlarne, ed anche quando è apparsa in pubblico, negli anni a seguire, il suo desiderio è stato rispettato.
Solo nel febbraio del 1997, all'età di 84 anni, rilasciò un'intervista di cui conviene riportare alcuni stralci,  significativi per comprendere meglio la schietta personalità di Maria.

D: Per quale motivo non vuole ricordare? Ritiene di aver fatto un errore?
R: Non voglio parlare perché il fatto è quello che è, ed è assolutamente inutile che io ne parli a posteriori. Il fatto è quello ed ognuno lo interpreti secondo il suo punto di vista. Ovviamente, se si fanno certe azioni si spera possano dare un vantaggio, mettiamo storico, ma in ogni caso di quelle azioni si impadronisce l'opinione degli altri, di chi le approva e di chi le condanna. Per me volerne parlare è inutile.
D: Ma il caso in cui maturò quel fatto è ancora aperto e dunque ha un senso parlarne.
R: Certo che è ancora aperto, ma se fossi stata uccisa come era nelle mie previsioni, non parlerei più e voi dareste le interpretazioni che vorreste.
D: Quanto tempo è rimasta in carcere?
R: Ho fatto tre anni a Perugia, sei o sette mesi a Venezia ed il resto dei 17 anni, sette mesi e 20 giorni, in Santa Verdiana a Firenze. Sono uscita nel 1964, il 22 settembre.
D: Come giudica la revisione storica che  è stata fatta anche dalla sinistra ex comunista sulla verità delle foibe e del problema istriano?
R: Come tutti sappiamo c'è stata la congiura del silenzio su tutta la storia del confine giuliano. In omaggio al comunismo italiano, nessun partito ha avuto il coraggio di affrontare l'argomento. Adesso si comincia a parlarne. Il silenzio è stato motivo di grande sofferenza per gli esuli e per i parenti di quelli che furono uccisi solo perché italiani. Dei 30 mila abitanti di Pola, 28 mila furono costretti a venir via. Questo dice tutto.
D: Con don Facibeni parlò di quel delitto?
R: Sapeva chi ero ma non abbiamo mai affrontato l'argomento.
D: Lei non aveva il bisogno di parlarne?
R: E perché avrei dovuto parlare con lui? Il problema l'avevo già risolto molto prima.
D: Inutile chiederle se abbia mai avuto il dubbio di aver sbagliato. Si ha l'impressione che lei non si sia mai posta la domanda.
R: A volte trovo qualcuno che mi chiede: se tornasse indietro? Io rispondo: se tornassi indietro avrei la stessa età, sarei ancora a quei tempi, sarei ancora quella.

Questa è la storia di Maria Pasquinelli, la storia personale e politica di una “donna in grigioverde” che ha combattuto credendo in un ideale.
E' una delle tante storie sconosciute, o conosciute solo in un ambito ristretto di protagonisti.
Risulta difficile per la mia generazione comprendere a fondo “l'amore di Patria” che ha determinato tante scelte all'indomani dell'armistizio; è più facile, invece, comprendere le scelte ideologiche, l'adesione al fascismo come idea e sistema di governo  sociale.
E' per questo che Maria ci affascina! La sua azione appare pura, come quella di un combattente politico che pur consapevole della sostanziale inutilità  del gesto ai fini della salvezza di un popolo, agisce ugualmente per testimoniare la propria ribellione.
In un certo senso, Maria Pasquinelli muore con de Winton, e l'azione di questa “donna in grigioverde” è tanto impersonale ( “per me volerne parlare è inutile”) da diventare l'azione di tutti.
Forse de Winton non è morto, ma è vissuto “a causa di Maria”. I libri di storia adottati nelle scuole italiane ignorano l'episodio, nella logica  secondo cui un evento non testimoniato non sarebbe mai esistito. Ebbene, il mancato Ricordo del gesto estremo compiuto da Maria coincide con il  mancato Ricordo degli eccidi delle Foibe: lo stesso silenzio li ha accomunati per tanti anni.
In effetti, come non è facile comprendere a fondo la tragedia delle Foibe, è altrettanto difficile spiegare e comprendere come una “donna in grigioverde” abbia voluto, potuto e deciso di trasformarsi in una combattente politica per la libertà del suo popolo (Marilù Galdieri).

 

Marilù Galdieri, imprenditrice, da anni impegnata nelle politiche e nella vita sociale, ricopre ruoli dirigenziali in Associazioni di Categoria ed Imprenditoriali, e riveste incarichi a livello istituzionale e di rappresentanza.


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