MEZZOGIORNO E FASCISMO CLANDESTINO
di Francesco Fatica
Capitolo IV
I franchi tiratori
a Napoli
Otto settembre 1943: si scatena
la reazione tedesca in tutta Italia in risposta al tradimento badogliano. A
Napoli avvengono alcuni tumulti: bande di popolani affamati saccheggiano
depositi di viveri; i tedeschi effettuano rastrellamenti. In tale caos c'era
chi pensava a sfruttare la reazione di quanti si sentivano vessati dalle
rappresaglie dei tedeschi ormai in ritirata, per creare un movimento
"partigiano" nella logica attesa degli "alleati" che il
nove settembre erano sbarcati in forze a Salerno. Ma i tedeschi opposero una
resistenza così accanita che gli anglo-americani furono sul punto di
reimbarcarsi. Tuttavia il 27 settembre, dopo che le retroguardie della
divisione Göring avevano rotto il contatto, gli inglesi si affacciarono dal
valico di Chiunzi sulla pianura, ormai sgombra di ostacoli verso Napoli.
A Napoli i "partigiani"
aspettavano di giorno in giorno l'arrivo degli "Alleati" per
uscire dai loro rifugi. Guidati dalle frange comuniste - come avvenne pure
al Nord - si preparavano a provocare rappresaglie quanto più sanguinose
possibili, in modo da muovere lo sdegno popolare e scavare un solco profondo
di odio, necessaria premessa per spezzare la coesione del corpo sociale
della Nazione. Questa tecnica fu sempre cinicamente e tenacemente applicata
fino ad ottenere lo scoppio della guerra civile al Nord. Così veniva
sperimentata ed introdotta in Italia per la prima volta quella strategia, già
applicata con successo dai comunisti in altre parti del mondo, basata
sull'assassinio come metodo di lotta per provocare rappresaglie. Meglio
ancora se la rappresaglia provoca una strage, come avvenne poi una prima
volta alle Fosse Ardeatine. Si inaugurava così proprio a Napoli questa
stagione di pseudo-libertà caratterizzata dall'odio e dal terrorismo, prima
sconosciuto in terra d'Italia. In quegli ultimi giorni di settembre Domenico
Tilena aveva riaperto la sede provinciale del Fascio a Via Medina, ottenendo
l'adesione di un centinaio di iscritti mentre lo stesso Colonnello Scholl,
comandante militare germanico della Città, ne restò allibito, dichiarando
che si trattava di una follia, avendo ormai gli invasori alle porte1.
Fu ricostituita anche la Milizia, con sede nella scuola elementare Vincenzo
Cuoco, arrivando a raggiungere gli effettivi di tre compagnie, una delle
quali riuscirà poi a disimpegnarsi per raggiungere la Repubblica Sociale
Italiana. Molti altri, tra cui gli ultimi tre federali del PNF, Domenico
Pellegrini-Giampietro, Fabio Milone, Francesco Saverio Siniscalchi2
e, tra i giovanissimi, gli allora quasi imberbi Enzo Erra, Franco d'Alò e
Aldo Serpieri, e il più maturo capitano del genio ing. Gaetano del Pezzo,
duca di Caianello, si diressero al Nord, cercando di raggiungere Roma con
mezzi di fortuna per continuare a combattere contro gli invasori.
Sparsasi prematuramente il 27 la
voce dell'arrivo degli anglo-americani in città, alcuni
"partigiani", raccolti gli sbandati sfuggiti alle retate tedesche,
iniziarono la caccia al fascista isolato. Al Vomero, Vincenzo Calvi fu
aggredito da un folto gruppo e spinto a frustate verso un loro rifugio.
Essendo però passata una pattuglia tedesca, i partigiani si eclissarono e
Calvi scampò ai suoi aggressori3.
Scrive Enzo Erra "poichè
tedeschi e guerriglieri sparavano, anche i fascisti presero le armi che
trovarono, e cominciarono a sparare". Il 28 e 29 tiratori fascisti
erano già entrati in azione. Artieri dice che erano "pochi, accaniti,
qualche centinaio"4.
Nessuno di loro ha lasciato
scritti o testimonianze. Si conosce solo quanto dichiarato dagli avversari.
Questi franchi tiratori fascisti, a differenza dei "partigiani",
non potevano sperare nel soccorso di truppe amiche avanzanti, "non
lottavano per vincere, dice ancora Enzo Erra, e sapevano di non avere un
domani"5,
i partigiani, oltretutto, si coagulavano in gruppi che sopravanzavano gli
assediati per numero, prudenza e tattica temporeggiatrice. Per i fascisti si
trattò di un fenomeno assolutamente spontaneo e perciò disorganico, che può
interpretarsi come una estrema, ostinata e disperata manifestazione di
fedeltà ad un mondo che vedevano crollare intorno a loro.
Altri, più organizzati, invece,
decisero di continuare la lotta nella clandestinità anche dopo
l'occupazione "alleata".
La gran massa della popolazione
civile restò ostinatamente barricata in casa o nei rifugi antiaerei e nei
ricoveri di fortuna o presso parenti ed amici; chi poté sfollò in
campagna. In effetti si può affermare che la popolazione si mantenne
diligentemente estranea alle scaramucce in corso per repulsione verso le
turpitudini di cui giungeva voce e per evitare coinvolgimenti delle persone
care.
Franchi tiratori fascisti ci
furono sicuramente al Vomero, al Museo, a Porta Capuana, a Piazza Mazzini,
nelle vie del centro, ma anche in periferia. Scrive Artieri che un fascista
isolato sparò con una mitragliatrice da una terrazza della Rinascente,
nella centralissima Via Toledo. Accerchiato, quando stava per essere preso,
si precipitò con l'arma da una finestra. Ancora Artieri descrive, come
confermano anche altri autori, l'altra tragica vicenda di un capitano della
Milizia che a Via Duomo si asserragliò e combatté strenuamente; quando gli
insorti lo raggiunsero, si uccise.
E sempre Artieri testimonia di un
altro fascista che in Piazza Marinelli sparò e tirò bombe, ma venne preso
e fucilato.
L'antifascista de Jaco riconosce
"pochi si salvarono, pochissimi chiesero pietà: non il Tommasone, che
aveva sparato per tre giorni da una casa alla Salute (adesso Via M.R.
Imbriani), non il Porro, non altri uccisi in combattimento o fucilati
sommariamente"6.
Testimoni oculari mi hanno raccontato che al Tommasone fu intimato di
rinnegare la sua fede fascista e di insultare il Duce. Essendosi
sdegnosamente rifiutato, fu assassinato nel tratto di via Salvator Rosa
compreso tra l'angolo di via Gesù e Maria e Piazza Mazzini. Sulla base di
questa testimonianza ritengo di poter smentire la versione ufficiale che
vorrebbe il Tommasone fucilato sotto i portici della Galleria Principe
Umberto. Il Porro, preso nel rione Materdei fu trascinato via tra il
ludibrio di una piccola folla di facinorosi e spinto su un cumulo di
immondizie, dove persino suo padre fu costretto a sputare sul figlio. Quindi
fu ucciso in un crescendo di vilipendi e sevizie orchestrati platealmente
dalla istigazione più feroce all'odio contro il fascista, ormai disarmato e
inoffensivo. Il de Jaco narra di due franchi tiratori fascisti di via Duomo,
uno dei quali venne "buttato giù dal balcone" e l'altro fucilato.
Un altro ancora fu massacrato a colpi di pietra7.
Ancora ferocia, ancora coinvolgimenti della popolazione su istigazione
bestiale di pochi agitatori. Il De Antonellis tratta di un commando che
uccise molti partigiani tra via Salvator Rosa e il Museo; un altro gruppo
che sparava su Piazza Dante dal liceo Vittorio Emanuele; singoli tiratori a
via Toledo, in via dei Mille, alla salita Magnacavallo (attualmente via F.
Girardi). Secondo De Antonellis i fascisti asserragliati nella caserma
Paisiello, in piazza Montecalvario, avendo tenuto duro per due giorni,
quando furono attaccati in forze il giorno 30, dopo un'ora di sparatoria,
riuscirono a dileguarsi8,
(approfittando, evidentemente, di smagliature di assedianti tremebondi).
Alfredo Parente scrive che nuclei fascisti "tenevano duro in alcune
zone della città" e segnala "una vera battaglia tra partigiani e
fascisti in via nuova Capodimonte"9.
Il Tamaro testimonia episodi di fascisti tiratori in via dei Mille, al parco
CIS in via Salvator Rosa, (più precisamente di fronte al parco CIS che era
invece occupato dai partigiani n.d.a.) a piazza Carità e aggiunge che un
nucleo "barricatosi dentro una casa in Piazza Plebiscito resistette per
due giorni". La torre degli Arditi a porta Capuana fu occupata, presa e
rioccupata in ripetuti scontri tra fascisti e partigiani; tiratori fascisti
furono protagonisti di alcune sparatorie al Vomero, restando spesso uccisi10.
Artieri racconta l'episodio di un uomo che si era esposto allo scoperto
durante una sparatoria al Vomero, afferrato dal Tarsia per farlo mettere al
riparo, si divincolò insolentendolo. Colpito poi con due bastonate al capo,
fu atterrato e, "portato in salvo in un portone, gli si trova una
tessera". Era il Federale di Enna. "Volevo morire" - dice.
"Non morì". Testimoni oculari mi hanno riferito che il tenente de
Fleury, che poi me lo ha confermato personalmente, appostato in posizioni
strategiche ad Afragola, oppose strenua resistenza con i suoi militi fino
all'arrivo degli anglo-americani.
Il reparto al completo, sempre
agli ordini del focoso tenente, riuscì a disimpegnarsi, ad impadronirsi di
un autocarro ed a ripiegare a nord, per continuare la lotta sotto la
bandiera della R.S.I.
Spavaldamente votati al
sacrificio supremo, apparvero al Berti quattro giovanissimi tiratori
fascisti a Piazza Mazzini, imberbi kamikaze in camicia nera, piantati in
mezzo alla piazza, armati soltanto di moschetto, mentre i partigiani
appostati prudentemente al riparo delle finestre dei palazzi circostanti,
sparavano su di loro. Così li vide il Berti, interprete di una colonna
tedesca che, in ritirata, transitava per Piazza Mazzini.
La colonna si fermò, i quattro
giovani in camicia nera furono invitati a salire, ma si rifiutarono
affermando spavaldamente di voler invece aspettare gli anglo-americani per
opporre l'ultima resistenza. Oltre alla testimonianza del Berti in "Wermacht-Napoli
1943" di loro non si è saputo più nulla11.
La caccia al fascista da parte dei partigiani si protrasse ferocemente fino
all'arrivo degli anglo-americani ed anche oltre, con contorno di
devastazioni e saccheggi sistematici dei rispettivi appartamenti. Il primo
ottobre a Ponticelli fu linciato in piazza con rinnovata ferocia e sadica
voluttà Federico Travaglini, già fiduciario del Fascio di Ponticelli prima
del 25 luglio, che pure non aveva, per generale riconoscimento, mai trasceso
nella sua carica e non aveva neppure più svolto attività politica. Il
cadavere venne vilipeso oscenamente persino da donne e bambini12.
Non era mai successo nella storia
di Napoli.
Appaiono così i primi frutti di
una cinica e spietata regia estranea alla nostra cultura, la stessa regia
barbara e feroce che sarà poi imposta al Nord e di cui ancora oggi dobbiamo
registrare gli effetti disgreganti.