MEZZOGIORNO E FASCISMO CLANDESTINO
di Francesco Fatica
Capitolo XVI
Intervista a De
Pascale
Sappiamo già che trascorse le vicende descritte nei
precedenti capitoli, avvenne, come s'è visto, l'arresto di Pignatelli e di
Guarino e subito dopo anche quello di Di Nardo, compromesso da una lettera
inviata al barone Filippo Marincola di S. Floro.
Restò quindi unicamente a De
Pascale la responsabilità della dirigenza del movimento clandestino
fascista in Campania.
Oggi egli è rimasto l'unico
vivente dei responsabili del vertice clandestino fascista dal '43 al '45. A
lui quindi mi sono rivolto per attingere direttamente alla fonte - dopo
oltre 50 anni di riserbo - le notizie ed i chiarimenti che meglio possono
concludere questa ricerca storica.
— Caro De Pascale, per cominciare, ti prego di
descrivermi i sentimenti che animavano, oltre te, anche i gregari della
lotta clandestina.
— De Pascale: - Eravamo ispirati dagli stessi
ideali che ci avevano animati sui campi di battaglia, con in più la rabbia
disperata di vedere calpestato il suolo della Patria da orde straniere, che
gozzovigliavano nelle nostre città, umiliandoci ogni giorno con la loro
arroganza e poi soprattutto sentivamo il bisogno supremo di riscattare ad
ogni costo l'Italia dalla vergogna dell'armistizio e del tradimento. Anche
noi, come i camerati del Nord, ci preparavano a batterci per l'onore
d'Italia.
— Ti prego ancora di ricordare qualche nome di
camerati impegnati nella lotta clandestina.
— Oltre Di Nardo e il col. Guarino, che teneva
i contatti con le bande armate calabresi, ricordo Nicola Galdo, che stampava
un giornale clandestino con il ciclostile che avevamo recuperato dal G.U.F.,
il prof. Calogero, il libraio Bolognesi, il marchese capitano di vascello
Marino de Lieto, super decorato, eroe della prima guerra mondiale, che
conduceva una sua guerra personale segretissima e solitaria contro gli
anglo-americani, sabotando ponti ed apprestamenti militari, finendo
coinvolto talora addirittura in corpo a corpo come un giovane sabotatore di
commando. Di lui e di qualche altro, che agiva come lui, dicevo che facevano
una loro guerra privata.
Ma, naturalmente, debbo citare
ancora l'attivissima ed entusiasta Elena Rega, che poi divenne mia moglie,
Pasquale Purificato, Picenna, il tenente della Decima MAS Bartolo Gallitto,
che attraversò le linee con altri marò. Mi spiace tralasciare tanti altri
nomi di elementi di secondo piano, però tutti validi, pieni di entusiasmo,
disciplinati e pronti ad ogni sacrificio.
Ma voglio ricordare ancora,
con venerazione, il tenente di vascello Paolo Poletti, agente dei Servizi
Speciali della RSI, infiltrato nell'OSS americano, che finì torturato
atrocemente, fino ad impazzirne e fu poi assassinato cinicamente dal
sergente americano di guardia. Non si lasciò sfuggire un nome, un accenno,
un indizio.
Quando poi anch'io fui
arrestato e detenuto a disposizione del C.S., capeggiato dal famigerato
maggiore Pecorella dei CC.RR., fui ristretto in quei locali a Napoli, in via
Fiorelli, da dove altri giovani dei Servizi Speciali furono prelevati per
essere fucilati a Nisida.
Un giorno poi conclusero che
gli interrogatori non avrebbero approdato a nulla e allora tentarono di
eliminarmi con la messa in scena della tentata fuga;ma io ebbi nervi saldi e
non cascai nel tranello.
— Inscenare un tentativo di fuga è l'espediente
banalmente, ma cinicamente, usato per coprire un assassinio. Così fecero
con Ettore Muti, così con Paolo Poletti. Possiamo dire che gli antifascisti
non esitavano di fronte agli assassinii.
— E' proprio così. In Repubblica Sociale una
serie di feroci, premeditati assassinii innescò la guerra civile.
Da Radio Bari prima e Radio
Napoli poi, si incitavano i partigiani all'assassinio sistematico come
metodo di lotta. Noi invece abbiamo sempre evitato attentati sanguinosi e
soprattutto spargimento di sangue fraterno. Eravamo ben informati delle
abitudini e delle abitazioni degli avversari, qui al Sud, ma abbiamo
deliberatamente evitato di innescare rappresaglie che avrebbero lasciato un
solco profondo di odio tra gli italiani.
Se pure fossimo stati tentati
di agire in questo senso, avevamo avuto continue, categorie disposizioni da
Mussolini, sia per via radio, ma anche, più esplicitamente, attraverso il
rapporto della principessa Pignatelli.
Avremmo potuto facilmente
ripetere a Napoli un attentato simile a quello di via Rasella per ottenere
una strage di rappresaglia simile, se non peggiore di quella delle Fosse
Ardeatine; ma a noi è sempre ripugnata la strategia stragista.
Avevamo invece previsto
tassativamente che, in caso di attentati, uno di noi avrebbe dovuto
costituirsi per addossarsene la responsabilità, onde evitare rappresaglie
con vittime civili.
La tecnica del "sangue
chiama sangue", come tutti sanno, fu invece largamente attuata dai
comunisti e dai loro accoliti, utili e feroci idioti.
Noi no. Al Sud non c'è stata
guerra civile.
— Bene; tu sai che anch'io, pur giovane ed
impaziente gregario, oltre tutto lontano dal centro organizzativo e
direttivo di Napoli, avevo lo stesso orientamento tattico, per
costituzione morale derivata dall'educazione fascista avuta nella GIL e nel
clima in cui ero vissuto, ma dobbiamo spiegare adesso: questa organizzazione
clandestina che c'era a fare se non poteva, nè doveva lottare liberamente,
senza esclusione di colpi?
— Come già ti ho detto altre volte, Mussolini
voleva assolutamente che, almeno al Sud, fossero evitate le feroci
nefandezze della guerra civile.
Noi clandestini avremmo dovuto
entrare in azione alla grande solo nel caso, non improbabile, di un
capovolgimento della situazione militare, cosa che sembrò più volte
imminente, sia per le tanto propagandate armi segrete tedesche (vedasi bomba
atomica) sia per le controffensive, in particolare quella di Von Rustedt
nelle Fiandre che sembrò aver sgominato gli eserciti alleati.
Lo stesso maggiore Pecorella,
a contatto con il Servizio Informazioni Militari, quando subodorò possibile
una certa concretezza nelle nostre speranze, si recò alla Certosa di Padula
a perorare presso Di Nardo, colà detenuto, la sua causa personale,
scoprendo sue benemerenze di doppiogiochista, ché non aveva rivelato tutto
quello che aveva scoperto, cercando di non aggravare la nostra posizione
processuale.
Concludendo, Mussolini volle
evitare ogni sia pur minimo spargimento di sangue fraterno. Per esempio, i
comunisti di vertice a Napoli, a cominciare da Togliatti, alias Ercole
Ercoli, avrebbero potuto agevolmente essere eliminati. Non fu così.
Se oggi nel Meridione non si
è scavato un profondo solco di sangue fra italiani, il merito è soltanto
di noi fascisti e soprattutto di Mussolini.