Nel 1943 l'Italia perse la guerra ed anche l'unità. Per semplificare lo
studio e agevolare la comprensione dei turbolenti avvenimenti di
quell'anno terribile e di quelli che immediatamente seguirono, gli
storici hanno sempre parlato di due stati italiani: il cosiddetto Regno
del Sud, formalmente sottoposto all'autorità del re Vittorio Emanuele
III, transfuga a Brindisi col governo del generale Badoglio, e la
Repubblica Sociale Italiana, soprannominata con intento dispregiativo
Repubblica di Salò, fingendo di ignorare che nella ridente cittadina in
riva al lago di Garda avevano sede soltanto alcuni ministeri del governo
della Repubblica, e nemmeno i più importanti.
In realtà le forze in campo erano
molto più numerose e variegate; fu anzi quello un periodo in cui la
naturale tendenza individualistica degli italiani poté trovare il
massimo sfogo, non sentendosi essi vincolati più ad alcuna autorità,
visto che quello Stato, che, pur dopo molti tentennamenti, aveva deciso
di entrare in guerra tre anni prima, si era ormai sciolto come neve al
sole. Comunque una distinzione tra Nord e Sud appare chiarissima fin dal
primo momento. Al Sud, occupato dalle truppe degli Alleati sbarcati
prima in Sicilia poi ad Anzio, il governo di Badoglio, costituiva
l'unica scelta “regolare” possibile. Esso era sostenuto dalle truppe
vittoriose degli anglo-americani e quindi, nonostante fosse basato sul
tradimento del primo alleato tedesco e nonostante fosse chiaramente
succubo del potere degli occupanti, riceveva da questi ultimi la propria
pur se vergognosa legittimazione. Al Sud insomma ogni diversa tendenza o
organizzazione era comunque predestinata alla clandestinità. Sia ben
chiaro che ciò non significa che il Regno del Sud fosse uno Stato
indipendente e sovrano; il vero potere era infatti nelle mani degli
alleati anglo-americani, non solo sostanzialmente su tutta l'Italia
meridionale, ma addirittura formalmente su tutte le province diverse da
quelle di Bari, Lecce, Brindisi e Taranto. Infatti, mentre queste ultime
costituivano formalmente il Regno del Sud, la Sicilia la Calabria e
tutte le altre regioni meridionali, a mano a mano che venivano occupate
dagli alleati, entravano sotto la giurisdizione del cosiddetto AMGOT (Allied
Military Governement for Occupied Territories), dove il governo Badoglio
non godeva neanche del simulacro di potere che gli veniva attribuito in
Puglia.
Al Nord invece si verificò per un
certo tempo un vuoto di potere, almeno dal punto di vista italiano. Con
la fuga del re, l'Italia settentrionale rimase automaticamente senza un
governo regolare; restavano le truppe tedesche che ancora tenevano
saldamente gran parte del territorio, ma non c'era più una vera e
propria organizzazione statale. Tutto era affidato alla volontà e alle
tendenze politiche dei singoli: troppo poco per evitare il caos. Era
indispensabile creare qualcosa che riempisse il vuoto, prima che l'unica
forza regolare ancora presente, l'esercito germanico, prendesse
completamente le redini di un territorio, che dopo il vergognoso
voltafaccia dell'infido alleato, poteva considerare a ragione sua terra
di conquista. Infatti, dopo appena tre giorni dall'8 settembre, e
precisamente l'11, il feldmaresciallo tedesco Kesserling emanò
un'ordinanza in cui si dichiarava che tutto il territorio italiano
veniva assoggettato all'esercito germanico. Mussolini quindi fece
l'unica scelta possibile: come il capitano di una nave in pericolo egli
preferì rimanere al suo posto, anche se dal punto di vista personale
sarebbe stato più facile e più conveniente abbandonarlo. Il suo
sacrificio eroico consistette proprio nell'aver creato uno Stato intorno
a cui si potessero aggregare volontariamente tutti gli italiani che
ancora credevano nella Patria; e la parola “volontariamente” è
sottolineata proprio perché nulla obbligava o aveva obbligato i giovani
che fecero quella scelta ad abbracciare una causa che appariva già in
partenza senza speranza. L'unico motivo poteva essere, e in effetti era,
la volontà di salvaguardare l'onore della Patria. La R.S.I. fu insomma
la prima repubblica italiana e l'unico stato italiano sovrano in quel
periodo, alleato e non succubo dei tedeschi, a differenza del Regno del
Sud, che valendo ancora il regime di armistizio (resa incondizionata),
non era un governo sovrano, ma completamente sottoposto ai vincitori
anglo-americani. Questa non è un'affermazione di parte, ma è la
sintesi di una sentenza emessa molto dopo la fine della guerra, il 26
aprile 1954, dal Tribunale Supremo Militare.
Comunque, uno dei problemi
fondamentali e più sentiti da tutti quelli, che non badavano soltanto a
salvare se stessi, ma avevano a cuore anche il futuro della nazione
italiana, era la salvaguardia dei confini nazionali. Questi sembravano
tutti in pericolo, ma certamente la pressione maggiore si avvertiva sul
confine nord orientale, dove i partigiani iugoslavi di Tito, appoggiati
dalla Russia, cercavano di occupare la maggiore estensione possibile di
territorio italiano, spingendosi ben più all'interno della Dalmazia e
dell'Istria. Si poteva notare infatti che le truppe di Tito, con la loro
violenza e pressione incessante, tendessero a risolvere a favore della
sola minoranza slava il problema sempre presente delle minoranze etniche
dell'Istria e della Dalmazia. Fin dai tempi della Repubblica Serenissima
di Venezia la popolazione della costa era quasi completamente italiana,
con una piccola minoranza slava specialmente a Fiume. All'interno invece
era presente l'elemento slavo, anche se per la maggior parte
perfettamente integrato nell'organizzazione statale italiana. L'azione
di Tito e della Russia, dettata non solo da problematiche etniche, ma
anche politiche, tendeva a trasformare la minoranza slava della costa in
maggioranza, costringendo gli italiani, come effettivamente avvenne, ad
abbandonare le loro case ed i loro beni nelle mani dei montanari slavi.
Ovviamente tutto questo poté avvenire perché gli slavi instaurarono un
regime di terrore, con i ben noti episodi di genocidio, che videro ben
35.000 italiani soccombere e scomparire nelle foibe carsiche.
Della situazione erano consapevoli
sia i combattenti italiani del Regno del Sud che della RSI al Nord. Ma né
gli uni né gli altri potevano intervenire direttamente. Gli italiani
del Sud erano inquadrati di fatto come cobelligeranti agli ordini dei
generali americani e inglesi, e nonostante ciò, a causa del recente
tradimento dell'alleato germanico, erano guardati con sospetto dagli
stessi nuovi alleati. Questi ultimi peraltro, essendo essi stessi
alleati della Russia e quindi della Iugoslavia, non avrebbero mai potuto
decidere qualsiasi azione a danno di questa per favorire i
cobelligeranti italiani. Al Nord, anche se apparentemente gli interessi
della RSI e dei tedeschi potevano sembrare coincidenti, qualunque azione
dell'esercito germanico, che pure resisteva a Tito nella Venezia Giulia
e nella Dalmazia, era dettata da interessi che prescindevano
completamente dalla salvaguardia del territorio nazionale italiano.
Inoltre anche al Nord i tedeschi non si fidavano degli italiani e quindi
la RSI finiva per avere soltanto la funzione, peraltro fondamentale, di
assicurare una sovranità ed uno Stato italiano su territori che
altrimenti sarebbero stati campo di battaglia e provincia germanica.
A questo punto appare chiaro che
qualunque azione tendente a proteggere i confini orientali della Patria
poteva partire solo da organizzazioni patriottiche clandestine. E poiché
al Nord i patrioti italiani aderivano alla RSI, le organizzazioni
clandestine in questione potevano essere solo quelle fasciste del Sud.
Perché queste ultime potessero esercitare la loro azione anche al di
fuori delle regioni meridionali erano necessari dei collegamenti,
segreti e clandestini anch'essi. Il compito di concretizzare questi
collegamenti toccò a dei reparti scelti della Marina italiana, che, per
il fatto di trovarsi dislocati su tutto il territorio nazionale al
momento della tragica divisione dell'Italia nel '43, costituirono
automaticamente un collegamento tra Nord e Sud. I reparti in questione
furono in particolare i Nuotatori Paracadutisti e la X Flottiglia MAS,
ma è ovvio che la loro azione non fu dettata soltanto dall'aspetto
logistico o da circostanze fortuite, ma soprattutto dall'amor di patria
che animava questi semplici e puri eroi.
In particolare la X
Flottiglia MAS, grazie al suo comandante principe Junio Valerio
Borghese, prese in mano le redini della situazione e, pur avendo la
propria sede nel Nord, fece da tramite fra i Fascisti del Sud e gli
italiani della RSI e anche i tedeschi e gli alleati anglo-americani. Il
principe Borghese non era certamente un gerarca fascista né un
rappresentante dell'apparato di regime; i suoi princìpi ideali lo
portavano in quei bui momenti a guardare innanzitutto al futuro
dell'Italia, al fatto che gli italiani, anche se al momento divisi e
purtroppo nemici, avrebbero dovuto ritrovare domani una Patria comune,
in un tempo di pace futuro. A conferma e compendio della sua attività
basti ricordare il convegno segreto da lui organizzato presso
l'idroscalo di Montecolino, sul lago di Iseo, sede di una base della X
Flottiglia MAS e vicinissimo alla residenza della sua famiglia. Il
convegno fu sollecitato tra l'altro nientemeno che da Churchill, da
sempre in trattative segrete con lo stesso Mussolini. Esso si svolse il
16 novembre 1944 e vi parteciparono anche alti ufficiali tedeschi,
inglesi e americani e l'oggetto fu la presentazione di un piano
segretissimo che avrebbe completamente cambiato l'aspetto dell'Europa
del dopoguerra. Il piano era stato elaborato dallo stesso Churchill e
prevedeva il riconoscimento della RSI e la stipula di un armistizio con
la stessa, il rovesciamento del fronte delle armate americane e inglesi
in Italia non più contro l'esercito tedesco ma contro la Russia,
l'appoggio delle armate tedesche in Italia e delle divisioni italiane a
queste azioni. La lungimiranza politica dello statista inglese, che,
dando prova anche in questo caso del suo intuito politico e del suo
spregiudicato opportunismo, aveva capito in anticipo da quale parte
stesse il vero nemico, non fu però corrisposta dagli alleati americani,
che bocciarono in toto le proposte, in omaggio alla lealtà
all'”amico” Stalin.
E' da notare peraltro che questo
atteggiamento degli anglo-americani, che vedeva gli inglesi più
favorevoli a queste problematiche prettamente italiane di quanto non lo
fossero gli americani, è da ritenersi una posizione di vertice. A
livelli operativi infatti questa tendenza appare addirittura opposta: i
servizi segreti americani e precisamente l'OSS era e si comportava in
modo assolutamente anti-comunista, per cui agiva concordemente agli
interessi italiani al confine orientale. Al contrario gli ufficiali e
gli agenti inglesi si dimostrarono sempre molto diffidenti nei riguardi
degli italiani, evitando addirittura di utilizzare le nostre forze
armate in settori strategici nel periodo della cobelligeranza. Anzi,
l'atteggiamento degli ufficiali inglesi ebbe a volte conseguenze
drammatiche, come quando il comandante della brigata partigiana Osoppo,
costituita quasi completamente da Alpini italiani, chiese ai Nuotatori
Paracadutisti di unirsi per fare fronte comune contro le truppe di Tito
che stavano occupando l'Istria e la Venezia Giulia. Questi contatti
furono resi noti ai comunisti dalla delazione di alcuni ufficiali
inglesi; la conseguenza fu che i partigiani comunisti provocarono
volontariamente la strage fratricida di Porzus, bloccando sul nascere
ogni tentativo di accordo per fermare gli slavi. Questo episodio è
stato narrato pochi anni fa in un film, intitolato appunto “Porzus”,
la cui veridicità è confermata dal fatto che la critica di sinistra
fece di tutto per stroncarlo.
Comunque, anche se il convegno di
Montecolino, ancora in gran parte avvolto nel mistero, ha il fascino
delle cose che non si sono realizzate, esso rappresenta solo un aspetto
di un'azione molto più vasta, che può essere sinteticamente
identificata con il piano dell'ammiraglio De Courten. Questo piano aveva
essenzialmente due obiettivi: salvare le industrie del Nord da eventuali
rappresaglie tedesche e salvare la Venezia Giulia dall'occupazione degli
slavi di Tito. De Courten stava al Sud mentre l'esecuzione del piano
doveva per forza di cose essere affidata a chi invece stava al Nord, cioè
al comandante Borghese e a alla X MAS. Furono molti gli emissari che
clandestinamente attraversarono le linee e si recarono dal comandante
Borghese per concordare queste azioni, ma per la maggior parte
quest'ultimo aveva già provveduto autonomamente e di sua iniziativa.
Basti ricordare la difesa degli impianti della FIAT a Torino e delle
installazioni del porto di Genova nonché di Porto Marghera, dove alcuni
uomini “Gamma” riuscirono a disinnescare i contatti elettrici delle
mine deposte dai tedeschi. Per quanto riguarda invece la difesa della
Venezia Giulia, Borghese aveva già inviato a Trieste il comandante
Lenzi della X MAS per organizzare lo sbarco della Marina del Sud, che
sarebbe dovuto avvenire con reparti del battaglione San Marco e con
l'utilizzo di sole navi italiane e con la protezione del gruppo di
artiglieria “Colleoni” della divisione “Decima”. A questo
proposito erano già stati raccolti circa 5000 volontari tra le Forze
Armate del Sud.
Il piano De Courten era
segretissimo, ignoto al governo italiano del Sud e allo stesso comando
militare italiano. In effetti esso era stato elaborato dal comando in
capo dell'VIII armata britannica, in perfetta sintonia col primo
ministro Churchill, e lo scopo precipuo della sbarco a Trieste, non
essendo certo quello di favorire gli interessi italiani, era
semplicemente quello di aprire un varco verso l'Austria e la
Cecoslovacchia, in modo da arrivare a Berlino prima dei Russi. La
segretezza era richiesta dal fatto che l'atteggiamento molto più
ingenuo e meno lungimirante degli Americani non poteva essere che
avverso a un piano del genere, in perfetta sintonia con quanto avvenne
in effetti a Montecolino. Gli americani insistevano a rispettare gli
accordi e le spartizioni decise a Yalta, mentre i vertici inglesi, forse
perché europei e quindi più vicini al vero nemico, già avevano capito
quello che poi sarebbe diventato evidente con il sorgere della
cosiddetta guerra fredda.
Questi intrighi imponevano la
massima segretezza e l'utilizzo di spie e clandestini, che potevano
essere reclutati solo tra le forze scelte del Sud. L'eroismo e
l'italianità di questi uomini li spingeva a lavorare perché queste
azioni, ideate per una causa diversa, potessero ottenere come risultato
anche la salvezza dei territori italiani orientali. In questo senso, e
solo in questo, la politica inglese e quella dell'Italia, quella vera,
paradossalmente concordavano. Ma lo sbarco purtroppo non si fece.
Infatti, anche se i vertici inglesi (Churchill in primo luogo) e alcuni
ufficiali americani (ma non il presidente Roosevelt, purtroppo) avevano
già capito che il vero nemico ormai si trovava a Est e che era folle
continuare ad appoggiarlo, la speranza che gli schieramenti in campo
potessero essere stravolti e modificati secondo quanto previsto dal
piano De Courten o dagli accordi di Montecolino era quanto meno audace.
Risulta infatti da documenti dell'epoca della Marina del Sud che il
comandante Borghese e la sua X MAS erano considerati elementi pericolosi
e poco affidabili dai vertici alleati che detenevano effettivamente il
potere nell'Italia meridionale. Un loro eventuale intervento poteva
essere ammesso solo in chiave anti-tedesca e si pretendeva persino che
per partecipare all'azione rinunciassero ai loro vessilli e alle loro
insegne. Inoltre un'alleanza militare con la R.S.I., che gli alleati
vedevano ancora come l'erede dello Stato fascista di un tempo, avrebbe
provocato una rottura immediata con i russi. Cosa che, come la storia
insegna, avvenne poi ugualmente; ma gli alleati, e in particolare gli
americani, non se la sentirono di fare il primo passo, lasciando che
fosse Stalin a mostrare il suo vero volto a guerra finita.
E così gli eventi precipitarono
verso gli esiti che sappiamo, ma almeno l'intensa azione clandestina
fece sì che le richieste slave, ufficializzate al tavolo della pace,
non venissero accolte. Infatti, all'inizio del 1946, cioè a guerra
abbondantemente finita, le rappresentanze delle quattro potenze
vincitrici cercarono di definire la questione del confine
italo-iugoslavo. Le richieste iugoslave prevedevano una linea di confine
addirittura molto più a ovest del corso dell'Isonzo, per cui città
come Gorizia, Trieste, Monfalcone, Cividale e Grado sarebbe state
inglobate nel territorio iugoslavo. Mentre l'Unione Sovietica appoggiava
quasi completamente queste richieste, gli alleati occidentali si
mostravano molto più clementi nei riguardi dell'Italia. In particolare
gli Stati Uniti prevedevano che solo Fiume, Abbazia e le zone interne
dell'Istria nonché naturalmente tutta la Dalmazia finissero in mano
iugoslava, mentre invece gli inglesi furono più duri, confermando il
fatto che tutte le azioni segrete del piano De Courten e di Montecolino
non erano certo dovute a benevolenza nei nostri riguardi. E l'Italia,
anche se con lunghi e faticosi sforzi e con il sacrificio di altre
vittime innocenti, riuscì almeno a salvare Trieste e quel piccolo
entroterra che fu in seguito denominato Zona A.
Questo risultato, certamente non
trascurabile anche se solo parziale, lo si deve anche all'azione dei
clandestini fascisti, che, mantenendo fede all'alleanza con il popolo
tedesco, difesero l'onore d'Italia e conquistarono la stima e
l'ammirazione del nemico, che invece disistimava profondamente Badoglio
e i badogliani. Quegli americani e quegli inglesi, che avevano imparato
ad aver fiducia nei sentimenti anticomunisti di una falange di uomini di
élite capaci di mantenere la parola data e di costituire la spina
dorsale dell'anticomunismo in Italia, si stavano preoccupando sempre più
seriamente del brutale espansionismo comunista verso ovest. Essi
ritennero che si poteva ancora aver fiducia in quell'Italia nata dalla
sconfitta (e prona davanti al P.C.I.), proprio per la presenza di quella
schiera di uomini capaci di combattere il comunismo non solo con le armi
della politica, ma anche con tutti gli altri mezzi e senza mai scendere
a patti. Pertanto proprio quegli americani e inglesi contrastarono gli
altri anglosassoni, che superficialmente volevano appoggiare Tito in
tutte le sue deliranti richieste, e intervennero intelligentemente
affinché l'Italia non subisse una punizione ancora più grave.