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CONTROSTORIA FUTURA

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Atti del Convegno di Napoli (8 novembre 1998)

FASCISMO DEL SUD E VENEZIA GIULIA

Comunicazione di Paolino Vitolo

    
Paolino Vitolo    Nel 1943 l'Italia perse la guerra ed anche l'unità. Per semplificare lo studio e agevolare la comprensione dei turbolenti avvenimenti di quell'anno terribile e di quelli che immediatamente seguirono, gli storici hanno sempre parlato di due stati italiani: il cosiddetto Regno del Sud, formalmente sottoposto all'autorità del re Vittorio Emanuele III, transfuga a Brindisi col governo del generale Badoglio, e la Repubblica Sociale Italiana, soprannominata con intento dispregiativo Repubblica di Salò, fingendo di ignorare che nella ridente cittadina in riva al lago di Garda avevano sede soltanto alcuni ministeri del governo della Repubblica, e nemmeno i più importanti.
    In realtà le forze in campo erano molto più numerose e variegate; fu anzi quello un periodo in cui la naturale tendenza individualistica degli italiani poté trovare il massimo sfogo, non sentendosi essi vincolati più ad alcuna autorità, visto che quello Stato, che, pur dopo molti tentennamenti, aveva deciso di entrare in guerra tre anni prima, si era ormai sciolto come neve al sole. Comunque una distinzione tra Nord e Sud appare chiarissima fin dal primo momento. Al Sud, occupato dalle truppe degli Alleati sbarcati prima in Sicilia poi ad Anzio, il governo di Badoglio, costituiva l'unica scelta “regolare” possibile. Esso era sostenuto dalle truppe vittoriose degli anglo-americani e quindi, nonostante fosse basato sul tradimento del primo alleato tedesco e nonostante fosse chiaramente succubo del potere degli occupanti, riceveva da questi ultimi la propria pur se vergognosa legittimazione. Al Sud insomma ogni diversa tendenza o organizzazione era comunque predestinata alla clandestinità. Sia ben chiaro che ciò non significa che il Regno del Sud fosse uno Stato indipendente e sovrano; il vero potere era infatti nelle mani degli alleati anglo-americani, non solo sostanzialmente su tutta l'Italia meridionale, ma addirittura formalmente su tutte le province diverse da quelle di Bari, Lecce, Brindisi e Taranto. Infatti, mentre queste ultime costituivano formalmente il Regno del Sud, la Sicilia la Calabria e tutte le altre regioni meridionali, a mano a mano che venivano occupate dagli alleati, entravano sotto la giurisdizione del cosiddetto AMGOT (Allied Military Governement for Occupied Territories), dove il governo Badoglio non godeva neanche del simulacro di potere che gli veniva attribuito in Puglia.
    Al Nord invece si verificò per un certo tempo un vuoto di potere, almeno dal punto di vista italiano. Con la fuga del re, l'Italia settentrionale rimase automaticamente senza un governo regolare; restavano le truppe tedesche che ancora tenevano saldamente gran parte del territorio, ma non c'era più una vera e propria organizzazione statale. Tutto era affidato alla volontà e alle tendenze politiche dei singoli: troppo poco per evitare il caos. Era indispensabile creare qualcosa che riempisse il vuoto, prima che l'unica forza regolare ancora presente, l'esercito germanico, prendesse completamente le redini di un territorio, che dopo il vergognoso voltafaccia dell'infido alleato, poteva considerare a ragione sua terra di conquista. Infatti, dopo appena tre giorni dall'8 settembre, e precisamente l'11, il feldmaresciallo tedesco Kesserling emanò un'ordinanza in cui si dichiarava che tutto il territorio italiano veniva assoggettato all'esercito germanico. Mussolini quindi fece l'unica scelta possibile: come il capitano di una nave in pericolo egli preferì rimanere al suo posto, anche se dal punto di vista personale sarebbe stato più facile e più conveniente abbandonarlo. Il suo sacrificio eroico consistette proprio nell'aver creato uno Stato intorno a cui si potessero aggregare volontariamente tutti gli italiani che ancora credevano nella Patria; e la parola “volontariamente” è sottolineata proprio perché nulla obbligava o aveva obbligato i giovani che fecero quella scelta ad abbracciare una causa che appariva già in partenza senza speranza. L'unico motivo poteva essere, e in effetti era, la volontà di salvaguardare l'onore della Patria. La R.S.I. fu insomma la prima repubblica italiana e l'unico stato italiano sovrano in quel periodo, alleato e non succubo dei tedeschi, a differenza del Regno del Sud, che valendo ancora il regime di armistizio (resa incondizionata), non era un governo sovrano, ma completamente sottoposto ai vincitori anglo-americani. Questa non è un'affermazione di parte, ma è la sintesi di una sentenza emessa molto dopo la fine della guerra, il 26 aprile 1954, dal Tribunale Supremo Militare. 
    Comunque, uno dei problemi fondamentali e più sentiti da tutti quelli, che non badavano soltanto a salvare se stessi, ma avevano a cuore anche il futuro della nazione italiana, era la salvaguardia dei confini nazionali. Questi sembravano tutti in pericolo, ma certamente la pressione maggiore si avvertiva sul confine nord orientale, dove i partigiani iugoslavi di Tito, appoggiati dalla Russia, cercavano di occupare la maggiore estensione possibile di territorio italiano, spingendosi ben più all'interno della Dalmazia e dell'Istria. Si poteva notare infatti che le truppe di Tito, con la loro violenza e pressione incessante, tendessero a risolvere a favore della sola minoranza slava il problema sempre presente delle minoranze etniche dell'Istria e della Dalmazia. Fin dai tempi della Repubblica Serenissima di Venezia la popolazione della costa era quasi completamente italiana, con una piccola minoranza slava specialmente a Fiume. All'interno invece era presente l'elemento slavo, anche se per la maggior parte perfettamente integrato nell'organizzazione statale italiana. L'azione di Tito e della Russia, dettata non solo da problematiche etniche, ma anche politiche, tendeva a trasformare la minoranza slava della costa in maggioranza, costringendo gli italiani, come effettivamente avvenne, ad abbandonare le loro case ed i loro beni nelle mani dei montanari slavi. Ovviamente tutto questo poté avvenire perché gli slavi instaurarono un regime di terrore, con i ben noti episodi di genocidio, che videro ben 35.000 italiani soccombere e scomparire nelle foibe carsiche.
    Della situazione erano consapevoli sia i combattenti italiani del Regno del Sud che della RSI al Nord. Ma né gli uni né gli altri potevano intervenire direttamente. Gli italiani del Sud erano inquadrati di fatto come cobelligeranti agli ordini dei generali americani e inglesi, e nonostante ciò, a causa del recente tradimento dell'alleato germanico, erano guardati con sospetto dagli stessi nuovi alleati. Questi ultimi peraltro, essendo essi stessi alleati della Russia e quindi della Iugoslavia, non avrebbero mai potuto decidere qualsiasi azione a danno di questa per favorire i cobelligeranti italiani. Al Nord, anche se apparentemente gli interessi della RSI e dei tedeschi potevano sembrare coincidenti, qualunque azione dell'esercito germanico, che pure resisteva a Tito nella Venezia Giulia e nella Dalmazia, era dettata da interessi che prescindevano completamente dalla salvaguardia del territorio nazionale italiano. Inoltre anche al Nord i tedeschi non si fidavano degli italiani e quindi la RSI finiva per avere soltanto la funzione, peraltro fondamentale, di assicurare una sovranità ed uno Stato italiano su territori che altrimenti sarebbero stati campo di battaglia e provincia germanica.
    A questo punto appare chiaro che qualunque azione tendente a proteggere i confini orientali della Patria poteva partire solo da organizzazioni patriottiche clandestine. E poiché al Nord i patrioti italiani aderivano alla RSI, le organizzazioni clandestine in questione potevano essere solo quelle fasciste del Sud. Perché queste ultime potessero esercitare la loro azione anche al di fuori delle regioni meridionali erano necessari dei collegamenti, segreti e clandestini anch'essi. Il compito di concretizzare questi collegamenti toccò a dei reparti scelti della Marina italiana, che, per il fatto di trovarsi dislocati su tutto il territorio nazionale al momento della tragica divisione dell'Italia nel '43, costituirono automaticamente un collegamento tra Nord e Sud. I reparti in questione furono in particolare i Nuotatori Paracadutisti e la X Flottiglia MAS, ma è ovvio che la loro azione non fu dettata soltanto dall'aspetto logistico o da circostanze fortuite, ma soprattutto dall'amor di patria che animava questi semplici e puri eroi.  In particolare la X Flottiglia MAS, grazie al suo comandante principe Junio Valerio Borghese, prese in mano le redini della situazione e, pur avendo la propria sede nel Nord, fece da tramite fra i Fascisti del Sud e gli italiani della RSI e anche i tedeschi e gli alleati anglo-americani. Il principe Borghese non era certamente un gerarca fascista né un rappresentante dell'apparato di regime; i suoi princìpi ideali lo portavano in quei bui momenti  a guardare innanzitutto al futuro dell'Italia, al fatto che gli italiani, anche se al momento divisi e purtroppo nemici, avrebbero dovuto ritrovare domani una Patria comune, in un tempo di pace futuro. A conferma e compendio della sua attività basti ricordare il convegno segreto da lui organizzato presso l'idroscalo di Montecolino, sul lago di Iseo, sede di una base della X Flottiglia MAS e vicinissimo alla residenza della sua famiglia.  Il convegno fu sollecitato tra l'altro nientemeno che da Churchill, da sempre in trattative segrete con lo stesso Mussolini. Esso si svolse il 16 novembre 1944 e vi parteciparono anche alti ufficiali tedeschi, inglesi e americani e l'oggetto fu la presentazione di un piano segretissimo che avrebbe completamente cambiato l'aspetto dell'Europa del dopoguerra. Il piano era stato elaborato dallo stesso Churchill e prevedeva il riconoscimento della RSI e la stipula di un armistizio con la stessa, il rovesciamento del fronte delle armate americane e inglesi in Italia non più contro l'esercito tedesco ma contro la Russia, l'appoggio delle armate tedesche in Italia e delle divisioni italiane a queste azioni. La lungimiranza politica dello statista inglese, che, dando prova anche in questo caso del suo intuito politico e del suo spregiudicato opportunismo, aveva capito in anticipo da quale parte stesse il vero nemico, non fu però corrisposta dagli alleati americani, che bocciarono in toto le proposte, in omaggio alla lealtà all'”amico” Stalin.
    E' da notare peraltro che questo atteggiamento degli anglo-americani, che vedeva gli inglesi più favorevoli a queste problematiche prettamente italiane di quanto non lo fossero gli americani, è da ritenersi una posizione di vertice. A livelli operativi infatti questa tendenza appare addirittura opposta: i servizi segreti americani e precisamente l'OSS era e si comportava in modo assolutamente anti-comunista, per cui agiva concordemente agli interessi italiani al confine orientale. Al contrario gli ufficiali e gli agenti inglesi si dimostrarono sempre molto diffidenti nei riguardi degli italiani, evitando addirittura di utilizzare le nostre forze armate in settori strategici nel periodo della cobelligeranza. Anzi, l'atteggiamento degli ufficiali inglesi ebbe a volte conseguenze drammatiche, come quando il comandante della brigata partigiana Osoppo, costituita quasi completamente da Alpini italiani, chiese ai Nuotatori Paracadutisti di unirsi per fare fronte comune contro le truppe di Tito che stavano occupando l'Istria e la Venezia Giulia. Questi contatti furono resi noti ai comunisti dalla delazione di alcuni ufficiali inglesi; la conseguenza fu che i partigiani comunisti provocarono volontariamente la strage fratricida di Porzus, bloccando sul nascere ogni tentativo di accordo per fermare gli slavi. Questo episodio è stato narrato pochi anni fa in un film, intitolato appunto “Porzus”, la cui veridicità è confermata dal fatto che la critica di sinistra fece di tutto per stroncarlo.  Junio Valerio Borghese con la divisa della X MAS.
    Comunque, anche se il convegno di Montecolino, ancora in gran parte avvolto nel mistero, ha il fascino delle cose che non si sono realizzate, esso rappresenta solo un aspetto di un'azione molto più vasta, che può essere sinteticamente identificata con il piano dell'ammiraglio De Courten. Questo piano aveva essenzialmente due obiettivi: salvare le industrie del Nord da eventuali rappresaglie tedesche e salvare la Venezia Giulia dall'occupazione degli slavi di Tito. De Courten stava al Sud mentre l'esecuzione del piano doveva per forza di cose essere affidata a chi invece stava al Nord, cioè al comandante Borghese e a alla X MAS. Furono molti gli emissari che clandestinamente attraversarono le linee e si recarono dal comandante Borghese per concordare queste azioni, ma per la maggior parte quest'ultimo aveva già provveduto autonomamente e di sua iniziativa. Basti ricordare la difesa degli impianti della FIAT a Torino e delle installazioni del porto di Genova nonché di Porto Marghera, dove alcuni uomini “Gamma” riuscirono a disinnescare i contatti elettrici delle mine deposte dai tedeschi. Per quanto riguarda invece la difesa della Venezia Giulia, Borghese aveva già inviato a Trieste il comandante Lenzi della X MAS per organizzare lo sbarco della Marina del Sud, che sarebbe dovuto avvenire con reparti del battaglione San Marco e con l'utilizzo di sole navi italiane e con la protezione del gruppo di artiglieria “Colleoni” della divisione “Decima”. A questo proposito erano già stati raccolti circa 5000 volontari tra le Forze Armate del Sud.
    Il piano De Courten era segretissimo, ignoto al governo italiano del Sud e allo stesso comando militare italiano. In effetti esso era stato elaborato dal comando in capo dell'VIII armata britannica, in perfetta sintonia col primo ministro Churchill, e lo scopo precipuo della sbarco a Trieste, non essendo certo quello di favorire gli interessi italiani, era semplicemente quello di aprire un varco verso l'Austria e la Cecoslovacchia, in modo da arrivare a Berlino prima dei Russi. La segretezza era richiesta dal fatto che l'atteggiamento molto più ingenuo e meno lungimirante degli Americani non poteva essere che avverso a un piano del genere, in perfetta sintonia con quanto avvenne in effetti a Montecolino. Gli americani insistevano a rispettare gli accordi e le spartizioni decise a Yalta, mentre i vertici inglesi, forse perché europei e quindi più vicini al vero nemico, già avevano capito quello che poi sarebbe diventato evidente con il sorgere della cosiddetta guerra fredda. 
    Questi intrighi imponevano la massima segretezza e l'utilizzo di spie e clandestini, che potevano essere reclutati solo tra le forze scelte del Sud. L'eroismo e l'italianità di questi uomini li spingeva a lavorare perché queste azioni, ideate per una causa diversa, potessero ottenere come risultato anche la salvezza dei territori italiani orientali. In questo senso, e solo in questo, la politica inglese e quella dell'Italia, quella vera, paradossalmente concordavano. Ma lo sbarco purtroppo non si fece. Infatti, anche se i vertici inglesi (Churchill in primo luogo) e alcuni ufficiali americani (ma non il presidente Roosevelt, purtroppo) avevano già capito che il vero nemico ormai si trovava a Est e che era folle continuare ad appoggiarlo, la speranza che gli schieramenti in campo potessero essere stravolti e modificati secondo quanto previsto dal piano De Courten o dagli accordi di Montecolino era quanto meno audace. Risulta infatti da documenti dell'epoca della Marina del Sud che il comandante Borghese e la sua X MAS erano considerati elementi pericolosi e poco affidabili dai vertici alleati che detenevano effettivamente il potere nell'Italia meridionale. Un loro eventuale intervento poteva essere ammesso solo in chiave anti-tedesca e si pretendeva persino che per partecipare all'azione rinunciassero ai loro vessilli e alle loro insegne. Inoltre un'alleanza militare con la R.S.I., che gli alleati vedevano ancora come l'erede dello Stato fascista di un tempo, avrebbe provocato una rottura immediata con i russi. Cosa che, come la storia insegna, avvenne poi ugualmente; ma gli alleati, e in particolare gli americani, non se la sentirono di fare il primo passo, lasciando che fosse Stalin a mostrare il suo vero volto a guerra finita. 
    E così gli eventi precipitarono verso gli esiti che sappiamo, ma almeno l'intensa azione clandestina fece sì che le richieste slave, ufficializzate al tavolo della pace, non venissero accolte. Infatti, all'inizio del 1946, cioè a guerra abbondantemente finita, le rappresentanze delle quattro potenze vincitrici cercarono di definire la questione del confine italo-iugoslavo. Le richieste iugoslave prevedevano una linea di confine addirittura molto più a ovest del corso dell'Isonzo, per cui città come Gorizia, Trieste, Monfalcone, Cividale e Grado sarebbe state inglobate nel territorio iugoslavo. Mentre l'Unione Sovietica appoggiava quasi completamente queste richieste, gli alleati occidentali si mostravano molto più clementi nei riguardi dell'Italia. In particolare gli Stati Uniti prevedevano che solo Fiume, Abbazia e le zone interne dell'Istria nonché naturalmente tutta la Dalmazia finissero in mano iugoslava, mentre invece gli inglesi furono più duri, confermando il fatto che tutte le azioni segrete del piano De Courten e di Montecolino non erano certo dovute a benevolenza nei nostri riguardi. E l'Italia, anche se con lunghi e faticosi sforzi e con il sacrificio di altre vittime innocenti, riuscì almeno a salvare Trieste e quel piccolo entroterra che fu in seguito denominato Zona A.
    Questo risultato, certamente non trascurabile anche se solo parziale, lo si deve anche all'azione dei clandestini fascisti, che, mantenendo fede all'alleanza con il popolo tedesco, difesero l'onore d'Italia e conquistarono la stima e l'ammirazione del nemico, che invece disistimava profondamente Badoglio e i badogliani. Quegli americani e quegli inglesi, che avevano imparato ad aver fiducia nei sentimenti anticomunisti di una falange di uomini di élite capaci di mantenere la parola data e di costituire la spina dorsale dell'anticomunismo in Italia, si stavano preoccupando sempre più seriamente del brutale espansionismo comunista verso ovest. Essi ritennero che si poteva ancora aver fiducia in quell'Italia nata dalla sconfitta (e prona davanti al P.C.I.), proprio per la presenza di quella schiera di uomini capaci di combattere il comunismo non solo con le armi della politica, ma anche con tutti gli altri mezzi e senza mai scendere a patti. Pertanto proprio quegli americani e inglesi contrastarono gli altri anglosassoni, che superficialmente volevano appoggiare Tito in tutte le sue deliranti richieste, e intervennero intelligentemente affinché l'Italia non subisse una punizione ancora più grave.

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