Intervengo con l'intento di esporre il fine che
intendevamo raggiungere con la nostra partecipazione alla lotta
clandestina. Premetto che mi propongo, per quanto mi riuscirà, di non
trattare dell'operato dei singoli o di gruppo, sono del parere che chi
desidera maggiormente essere aggiornato sull'argomento potrà desumere le
notizie dagli archivi, dalle procure giudiziarie o, con le dovute
precauzioni, dai giornali dell'epoca, verrà così introdotto in un quadro
più aderente alla realtà, non deviata da emotività o da personalismi.
Mi limito a trattare del movimento di
lotta clandestina in Campania, di cui Valerio Pignatelli fu il capo e
l'animatore, particolarmente per il suo grande carisma. Qui in Campania
egli scelse come suoi fiancheggiatori alcuni suoi fidati amici, tra cui il
col. Guarino, suo stimato compagno d'Arma, nel Corpo degli Arditi di
Guerra sin dalla Guerra 14/18, singolarissima persona, modesto quanto mai,
mite, superdecorato di guerra, eroico coraggioso soldato; l'avvocato Nando
Di Nardo anch'egli Ardito di Guerra, valoroso combattente nella campagna
di Grecia, estremamente dignitoso, ferito gravemente in azione con
sensibili postumi, che forse spiegano la sua prematura dipartita, mio
affezionato fraterno amico; inoltre il sottoscritto.
Valerio Pignatelli (per noi
"Pigna") giunse qui a Napoli alcuni mesi dopo l'otto Settembre,
in quanto precedentemente aveva organizzato il Movimento Clandestino in
Calabria, che poi si estese in molte zone dell'Italia Meridionale,
collegandosi con gruppi spontanei.
Debbo fare un passo indietro, quei
noti, tristi, ignominiosi eventi che si conclusero col vergognoso
armistizio piombarono sulla totalità del popolo italiano come fulmine a
ciel sereno; posso affermare però che per molti di noi non fu così,
principalmente per coloro che erano impegnati nelle campagne di guerra, più
precisamente per coloro che erano al fronte, in una "guerra
guerreggiata". Molti di noi per vari fatti, che a volte ci
impegnavano anche di persona, cominciammo ad intuire, subodorare che
aleggiava qualcosa di anomalo. Fatti che al momento potevano anche
apparire come errori di percorso; alcuni però erano evidenti atti di
tradimento, altri erano azioni compiute per scoraggiare e disorientare il
soldato. So che è bene non sottrarre tempo altrimenti sarebbe utile
approfondire casi veramente umilianti e frastornanti, che dovevamo
sopportare, Atti promossi anche subdolamente, per scardinare le
istituzioni di uno Stato in guerra, come pure per disorientare la gente.
Tali fatti -particolarmente per noi militari, chiamati a vari impegni- ci
costernavano enormemente; su di essi insistentemente ci interrogavamo,
volevamo sapere cosa di non ben definito stava avvenendo, volevamo
reagire, fare qualcosa. Cosa?
Cominciammo in pochi pian piano ad
organizzarci, per quanto possibile. Non riuscivamo a sopportare
supinamente tale stato di cose. Cominciammo a riunirci in organizzazioni,
col rischio anche di essere additati come nemici della Patria. Logicamente
queste prime organizzazioni furono segrete. Io, ad esempio, reduce dalla
campagna di Grecia, perchè ferito gravemente, degente all'Istituto
Ortopedico Rizzoli di Bologna, che accoglieva molti mutilati, mi affiliai,
con altri fidati commilitoni, ad una organizzazione voluta dalla Medaglia
d'Oro Ettore Muti, eroe dell'Aria. Muti era riuscito a conoscere quanto di
grave si tramava ai danni della Nazione e conosceva i capi della congiura.
Egli, fedele servitore della Patria, fedelissimo del Duce, voleva
decisamente agire con ogni mezzo per arginare tale grave minaccia. Era
deciso a tutto, ricordo, e con lui anche molti dei suoi affiliati. Il nome
di Muti era noto solo a pochi suoi fedelissimi. Il fine da raggiungere era
quello di sradicare dai posti di comando quei pochi noti traditori, se
necessitava anche in modo cruento.
Io, con l'incarico di estendere
l'organizzazione nell'ambiente a me familiare, mi recai a Napoli, col
permesso dei sanitari date le mie cagionevoli condizioni di salute. Qui
riuscii ad affiliare miei fidatissimi amici, tra cui Nando Di Nardo, Guido
Bolognesi, Lello Balestieri, Ninì Sorrentino, Vito Videtta.
Per inciso, l'azione da noi
preordinata non giunse a compimento, in quanto coloro che tramavano furono
più lesti di noi dando corso alla nota, incresciosa seduta del Gran
Consiglio del Fascismo, del 25 luglio. Forse essi
avevano anche subodorato dell'attività di Muti. L'organizzazione voluta
da Muti rimase però attiva ed allerta anche dopo la tragica fine di Muti.
E' nota la tragica maniera in cui fu trucidato. Era un puro, onesto e
coraggioso quanto mai. Nel triste periodo compreso tra il 25 luglio e
l'occupazione anglo-americana di Napoli, assistemmo a fatti dolorosi che
non esito a definire vergognosi. Dopo il 25 luglio dovemmo vedere, con
disgusto, tanta gente che voleva ad ogni costo crearsi una verginità
politica; molti si affrettavano a strappare dagli indumenti il distintivo
del partito, a bruciare frettolosamente la camicia nera e l'orbace, che
forse avevano indossato anche la notte prima. Si scatenò nelle
strade un'accozzaglia di gente scalmanata, trascinati dal fecciume,
compiendo una vergognosa e vigliacca caccia al vecchio fascista; in più
costoro si agitavano a strappare, divellere dai muri ogni simbolo del
fascismo, distruggendo tutto ciò che onorava anche eventi di storia
patria e, quanto di più grave, le lapidi che onoravano gloriosi eroi
della Patria. Noi, per quanto potevamo, tentammo di arginare tale
vergognoso scempio, schierandoci a protezione di tali simboli rischiando
di persona. Al tempo eravamo giovani e, se anche malconci, poco badavamo
al pericolo. Vito Videtta lo potrebbe ricordare, se non fosse venuto a
mancare per mano fratricida.
Con l'otto settembre e il vergognoso
armistizio, nell'interregno, noi tentammo con ogni mezzo, con le esigue
nostre forze, di evitare lo scoppio di una inutile e criminale guerra
civile. A poco valse la nostra opera, vi era gente troppo facinorosa,
ansiosa di protagonismo (mi risparmio altro termine più qualificativo).
Il nostro intervento forse servì solo per farci conoscere e quando venne
il momento, per farci additare al "liberatore". Il loro
intervento servì unicamente a creare lutti, lutti nelle famiglie già in
gramaglie per gli eventi della guerra e per i bombardamenti a tappeto
degli americani; servì a molti di quelli per lavare vecchi rancori e
riprendere quell'ignobile caccia all'uomo, questa volta anche contro
sparuti gruppi di sbandati soldati tedeschi.
C'è da chiedersi: in quei tristi
giorni dove erano le autorità, i generali, i comandanti delle Grandi Unità?
Salvo alcuni casi sporadici, diciamolo: tutti scappati. Succeda ciò che
succede io salvo la mia pelle; questo era il principio che dominò in
costoro. Purtroppo anche la voce del Clero non si fece sentire, quando
proprio in quei momenti avrebbe potuto essere molto efficace.
Le autorità avrebbero dovuto
avvicinare i Comandi tedeschi per cercare di conoscere i loro piani e
risparmiare forse tanti fatti luttuosi. Noi per quanto ci fu possibile
riuscimmo in parte a conoscere ciò che i tedeschi intendevano compiere in
quei giorni. I loro piani strategici prevedevano di allestire una nuova
linea difensiva e pertanto avevano fretta di sgomberare le loro Unità da
Napoli; non avevano alcuno interesse ad imbrigliarsi nei vicoli di Napoli.
I nostri facinorosi invece si agitavano, con le conseguenze che
conosciamo.
Avvenne l'irreparabile, ciò che
alcuni deliberatamente volevano. Avvenne che alcuni reparti tedeschi si
apprestarono a rientrare in città; questo fatto sgomentò molto la gente.
Quale azione molesta intendevano compiere i tedeschi, si chiedevano molti.
Se invece qualche rappresentante del Governo avesse cercato di conoscere
la ragione della manovra tedesca i fatti si sarebbero svolti in modo
diverso.
I tedeschi, dividendosi in due
scaglioni, si diressero al Vomero: in via Palizzi vi era un ospedale che
dovevano sgomberare e portare con loro i feriti, che per chissà quale
imprevisto non avevano portati via a tempo debito. Noi che eravamo
riusciti a conoscere, sommariamente, le intenzioni dei tedeschi, cercammo
di informare alcuni di quei "capipopolo"; non ci fu verso, non
fummo ascoltati, erano troppo presi ad organizzare le barricate. Barricate
di masserizie casalinghe che avrebbero dovuto fermare autoblindo!
I tedeschi dai loro automezzi si
sgolavano con i megafoni per avvertire che la loro era un'azione pacifica,
di non sostare nelle strade, di non stare ai balconi; non ci fu verso, non
ascoltavano. Si verificò ciò che poi le cronache hanno raccontato. Chi
ebbe la peggio? La povera gente innocente. Aumentarono i lutti.
Noi, in pochi ci recammo al Vomero per
facilitare l'opera di soccorso di quei soldati tedeschi feriti. Non
interessava a noi la nazionalità di quei feriti, se erano tedeschi o di
altra nazionalità; era solo un'opera umanitaria. E' superfluo dire che
per portarci sul posto dovemmo superare traversie ed anche pericoli
innumerevoli, non sto qui a dilungarmi. Riuscimmo però a compiere quanto
ci eravamo prefisso, far sì che venissero affidati ai loro compatrioti
quei feriti ai quali io mi sentivo particolarmente vicino.
Chiusa questa parentesi che mi ha
fatto uscire un po' fuori dal tema di questo convegno, torno all'argomento
in questione.
Il fatto di aver messo in piedi un
settore della citata organizzazione voluta da Muti ci facilitò in seguito
nell'intento di costituirci in gruppo dopo l'otto settembre. Voglio però
ribadire che in effetti l'organizzazione nacque già il 25 luglio, quando
ad alcuni di noi reduci invalidi si unì un folto gruppo di valorosi e
volenterosi giovani fascisti proveniente dal disciolto GUF (Gruppo
Universitario Fascista). Fu proprio con questo gruppo che nacque il nostro
Movimento Clandestino. Le nostre prime riunioni segrete si tenevano in
casa di Antonio Picenna, sempre entusiasta e disponibile, in via dei
Mille; nonchè in casa di un'altra famiglia, in via Palizzi, anch'essa
disponibile, di cui non faccio nome.
E' utile precisare che con la
costituzione della RSI la totalità di questi giovani partirono volontari
verso il Nord, con a capo Natale Cinquegrani e Vito Videtta; quest'ultimo,
finito poi da eroe con la degna compagna nel martirio seguito al 25 aprile
1945. Non posso negare che con la partenza di codesti camerati si determinò
in me una certa angoscia; ma mi furono di grande conforto la valida
collaborazione che ricevetti da commilitoni reduci feriti e da vecchi
fascisti, alcuni squadristi, come Ruggiero Bonghi e Pasquale Purificato.
Validissima fu anche la collaborazione di Elena Rega (non presente a
questo consesso solo per ragioni di salute), ultima Fiduciaria Femminile
del GUF e inoltre dalla giovanissima Lucia Vastadori, ambedue di esemplare
fede negli ideali comuni ed entusiasticamente fattive e coraggiose.
Riprendendo il nocciolo del discorso.
Voglio chiarire il fine che volevamo raggiungere con la nostra
Organizzazione Clandestina. Cosa noi volevamo attuare? Quale fine, come
detto, volevamo raggiungere? In parte tra le righe l'ho già accennato.
In breve. E' da premettere che eravamo
coscienti che le sorti della guerra erano compromesse. La realtà ci
portava a constatare che il nemico spadroneggiava nelle nostre contrade.
L'onore era compromesso, l'umiliazione ci offendeva. Il tradimento del re
era quanto di più grave e ignobile potesse capitare. In primo luogo
dovevamo con ogni mezzo riscattare l'onore! Nutrivamo quindi un imperativo
etico: l'onore!
Onore che dovevamo principalmente
riscattare verso il nemico: gli inglesi, gli americani, come pure verso i
tedeschi che, diciamolo, avevamo tradito.
Ci proponevamo di compiere azioni di
disturbo contro le forze nemiche, nel limite delle nostre possibilità,
tali però da non coinvolgere la popolazione e l'incolumità dei civili,
in rappresaglie come invece fu deliberatamente perpetrato al Nord.
Fiancheggiare le Forze Armate della
RSI, collaborare sotto ogni aspetto con i giovani volontari dei Servizi
Speciali, che traversando le linee, operavano qui al Sud, assistendo e
agevolando la loro opera e per quando possibile agendo per la loro
incolumità. E' importante una precisazione, volevamo, in modo categorico,
evitare lo scempio e la vergogna della guerra civile. A questo principio,
per noi sacro, non siamo mai venuti meno. Preciso che prima di noi non
volevano inutili spargimenti di sangue i Capi della RSI e in primo luogo
il Duce; era un comando che egli ci trasmetteva nei messaggi radio.
Sommariamente egli diceva: "non voglio che nelle terre occupate
avvenga ciò che malauguratamente si sta verificando qui in repubblica,
ove con le imboscate dei partigiani comunisti si sparge innocente sangue
fraterno".
Avevamo ancora in programma l'opera di
assistenza e di soccorso alla popolazione (che ne aveva tanto bisogno). In
vero poco ci fu possibile compiere, le nostre forze economiche erano molto
limitate. Il mite, buono, coraggioso Ruggero Bonghi si prodigò molto in
questo campo, non solo però in questo.
Ho premesso che per meglio conoscere
gli eventi e il nostro operato è utile consultare gli archivi. Si dovrà
farlo anche per conoscere vari personaggi che meritano un attento esame.
Personaggi che non possono essere ignorati dalla storia; fra essi anche
uomini di alta cultura, maestri di vita.
E' indispensabile inoltre conoscere
l'operato e le spiccate singolari personalità di tanti e tanti giovani
volontari delle Forze Armate della RSI, che con grande coraggio operarono
qui al Sud. Molti erano giovanissimi, alcuni ancora minorenni. Molti
furono condannati a morte con sommari, improvvisati processi e con
esecuzioni di morte lugubri, tali da offendere i più elementari principi
di ogni forma di dignità umana.
Ricordarli tutti forse non riuscirà
facile. Molte, un gran numero, furono le esecuzioni capitali che gli
angloamericani misero in atto verso questi giovani.
So che non posso ulteriormente
dilungarmi; ma so anche che non posso esimermi dal rievocare un passionale
momento. Quando, prigioniero al controspionaggio, venni rinchiuso per
appena poche ore in cella con sei di questi giovani soldati della RSI, in
attesa di essere trasportati al luogo della loro esecuzione capitale
decretata dagli inglesi. Venni rinchiuso in quella cella per le
intimidatorie manovre che spesso ordiva il nostro spietato capo
inquisitore, maggiore Pecorella (ignobile figura, servo dello straniero).
Ebbene quei giovani ben conoscevano la loro triste sorte, malgrado ciò
essi erano sereni, dignitosi e composti, sapevano di aver fatto il loro
dovere al servizio della Patria. Erano esemplari, ammirevoli, coraggiosi;
quanto altro potrei dire di loro? Volevano essi animare me, pur essendo io
molto più anziano di loro.
Potrebbe sembrare debolezza, ma non lo
era: nutrivano rimorso per la sofferenza, il dolore che sapevano di
arrecare alle rispettive madri. Erano dotati di uno spiccato amore per la
famiglia, per la madre, come per la Patria. Quanto ho appreso in quei
brevi momenti!
Per concludere. Negli anni che ci
separano da quel triste ma fatidico periodo della lotta clandestina ai
giorni nostri, molti di noi ci siamo con insistenza interrogati su cosa
noi riuscimmo a compiere di concreto. Compimmo in pieno il nostro dovere?
Quanto fu utile la nostra opera alla causa comune, con il sacrificio,
l'olocausto di tanti? E' stata forse proprio questa la ragione per cui
della Lotta Clandestina nelle Terre occupate, sia pure con ritardo, se ne
discute. Insisto nel dire, per meglio conoscere la verità si dovranno
consultare gli atti ufficiali desunti dagli archivi che però ci restano
preclusi per disposizioni politiche.
Vogliamo che si sappia la VERITA' non
la storia distorta da politici.