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Atti del Convegno di Napoli (8 novembre 1998)

Riflessioni sull'attività clandestina al Sud

Relazione di Antonio de Pascale

Antonio de Pascale
Intervengo con l'intento di esporre il fine che intendevamo raggiungere con la nostra partecipazione alla lotta clandestina. Premetto che mi propongo, per quanto mi riuscirà, di non trattare dell'operato dei singoli o di gruppo, sono del parere che chi desidera maggiormente essere aggiornato sull'argomento potrà desumere le notizie dagli archivi, dalle procure giudiziarie o, con le dovute precauzioni, dai giornali dell'epoca, verrà così introdotto in un quadro più aderente alla realtà, non deviata da emotività o da personalismi.
    Mi limito a trattare del movimento di lotta clandestina in Campania, di cui Valerio Pignatelli fu il capo e l'animatore, particolarmente per il suo grande carisma. Qui in Campania egli scelse come suoi fiancheggiatori alcuni suoi fidati amici, tra cui il col. Guarino, suo stimato compagno d'Arma, nel Corpo degli Arditi di Guerra sin dalla Guerra 14/18, singolarissima persona, modesto quanto mai, mite, superdecorato di guerra, eroico coraggioso soldato; l'avvocato Nando Di Nardo anch'egli Ardito di Guerra, valoroso combattente nella campagna di Grecia, estremamente dignitoso, ferito gravemente in azione con sensibili postumi, che forse spiegano la sua prematura dipartita, mio affezionato fraterno amico; inoltre il sottoscritto.
    Valerio Pignatelli (per noi "Pigna") giunse qui a Napoli alcuni mesi dopo l'otto Settembre, in quanto precedentemente aveva organizzato il Movimento Clandestino in Calabria, che poi si estese in molte zone dell'Italia Meridionale, collegandosi con gruppi spontanei.
    Debbo fare un passo indietro, quei noti, tristi, ignominiosi eventi che si conclusero col vergognoso armistizio piombarono sulla totalità del popolo italiano come fulmine a ciel sereno; posso affermare però che per molti di noi non fu così, principalmente per coloro che erano impegnati nelle campagne di guerra, più precisamente per coloro che erano al fronte, in una "guerra guerreggiata". Molti di noi per vari fatti, che a volte ci impegnavano anche di persona, cominciammo ad intuire, subodorare che aleggiava qualcosa di anomalo. Fatti che al momento potevano anche apparire come errori di percorso; alcuni però erano evidenti atti di tradimento, altri erano azioni compiute per scoraggiare e disorientare il soldato. So che è bene non sottrarre tempo altrimenti sarebbe utile approfondire casi veramente umilianti e frastornanti, che dovevamo sopportare, Atti promossi anche subdolamente, per scardinare le istituzioni di uno Stato in guerra, come pure per disorientare la gente. Tali fatti -particolarmente per noi militari, chiamati a vari impegni- ci costernavano enormemente; su di essi insistentemente ci interrogavamo, volevamo sapere cosa di non ben definito stava avvenendo, volevamo reagire, fare qualcosa. Cosa?
    Cominciammo in pochi pian piano ad organizzarci, per quanto possibile. Non riuscivamo a sopportare supinamente tale stato di cose. Cominciammo a riunirci in organizzazioni, col rischio anche di essere additati come nemici della Patria. Logicamente queste prime organizzazioni furono segrete. Io, ad esempio, reduce dalla campagna di Grecia, perchè ferito gravemente, degente all'Istituto Ortopedico Rizzoli di Bologna, che accoglieva molti mutilati, mi affiliai, con altri fidati commilitoni, ad una organizzazione voluta dalla Medaglia d'Oro Ettore Muti, eroe dell'Aria. Muti era riuscito a conoscere quanto di grave si tramava ai danni della Nazione e conosceva i capi della congiura. Egli, fedele servitore della Patria, fedelissimo del Duce, voleva decisamente agire con ogni mezzo per arginare tale grave minaccia. Era deciso a tutto, ricordo, e con lui anche molti dei suoi affiliati. Il nome di Muti era noto solo a pochi suoi fedelissimi. Il fine da raggiungere era quello di sradicare dai posti di comando quei pochi noti traditori, se necessitava anche in modo cruento.Ettore Muti
    Io, con l'incarico di estendere l'organizzazione nell'ambiente a me familiare, mi recai a Napoli, col permesso dei sanitari date le mie cagionevoli condizioni di salute. Qui riuscii ad affiliare miei fidatissimi amici, tra cui Nando Di Nardo, Guido Bolognesi, Lello Balestieri, Ninì Sorrentino, Vito Videtta.
    Per inciso, l'azione da noi preordinata non giunse a compimento, in quanto coloro che tramavano furono più lesti di noi dando corso alla nota, incresciosa seduta del Gran Consiglio del Fascismo, del 25 luglio. Forse essi avevano anche subodorato dell'attività di Muti. L'organizzazione voluta da Muti rimase però attiva ed allerta anche dopo la tragica fine di Muti.  E' nota la tragica maniera in cui fu trucidato. Era un puro, onesto e coraggioso quanto mai. Nel triste periodo compreso tra il 25 luglio e l'occupazione anglo-americana di Napoli, assistemmo a fatti dolorosi che  non esito a definire vergognosi. Dopo il 25 luglio dovemmo vedere, con disgusto, tanta gente che voleva ad ogni costo crearsi una verginità politica; molti si affrettavano a strappare dagli indumenti il distintivo del partito, a bruciare frettolosamente la camicia nera e l'orbace, che forse avevano indossato anche la  notte prima. Si scatenò nelle strade un'accozzaglia di gente scalmanata, trascinati dal fecciume, compiendo una vergognosa e vigliacca caccia al vecchio fascista; in più costoro si agitavano a strappare, divellere dai muri ogni simbolo del fascismo, distruggendo tutto ciò che onorava anche eventi di storia patria e, quanto di più grave, le lapidi che onoravano gloriosi eroi della Patria. Noi, per quanto potevamo, tentammo di arginare tale vergognoso scempio, schierandoci a protezione di tali simboli rischiando di persona. Al tempo eravamo giovani e, se anche malconci, poco badavamo al pericolo. Vito Videtta lo potrebbe ricordare, se non fosse venuto a mancare per mano fratricida.
    Con l'otto settembre e il vergognoso armistizio, nell'interregno, noi tentammo con ogni mezzo, con le esigue nostre forze, di evitare lo scoppio di una inutile e criminale guerra civile. A poco valse la nostra opera, vi era gente troppo facinorosa, ansiosa di protagonismo (mi risparmio altro termine più qualificativo). Il nostro intervento forse servì solo per farci conoscere e quando venne il momento, per farci additare al "liberatore". Il loro intervento servì unicamente a creare lutti, lutti nelle famiglie già in gramaglie per gli eventi della guerra e per i bombardamenti a tappeto degli americani; servì a molti di quelli per lavare vecchi rancori e riprendere quell'ignobile caccia all'uomo, questa volta anche contro sparuti gruppi di sbandati soldati tedeschi.
    C'è da chiedersi: in quei tristi giorni dove erano le autorità, i generali, i comandanti delle Grandi Unità? Salvo alcuni casi sporadici, diciamolo: tutti scappati. Succeda ciò che succede io salvo la mia pelle; questo era il principio che dominò in costoro. Purtroppo anche la voce del Clero non si fece sentire, quando proprio in quei momenti avrebbe potuto essere molto efficace.
    Le autorità avrebbero dovuto avvicinare i Comandi tedeschi per cercare di conoscere i loro piani e risparmiare forse tanti fatti luttuosi. Noi per quanto ci fu possibile riuscimmo in parte a conoscere ciò che i tedeschi intendevano compiere in quei giorni. I loro piani strategici prevedevano di allestire una nuova linea difensiva e pertanto avevano fretta di sgomberare le loro Unità da Napoli; non avevano alcuno interesse ad imbrigliarsi nei vicoli di Napoli. I nostri facinorosi invece si agitavano, con le conseguenze che conosciamo.
    Avvenne l'irreparabile, ciò che alcuni deliberatamente volevano. Avvenne che alcuni reparti tedeschi si apprestarono a rientrare in città; questo fatto sgomentò molto la gente. Quale azione molesta intendevano compiere i tedeschi, si chiedevano molti. Se invece qualche rappresentante del Governo avesse cercato di conoscere la ragione della manovra tedesca i fatti si sarebbero svolti in modo diverso.
    I tedeschi, dividendosi in due scaglioni, si diressero al Vomero: in via Palizzi vi era un ospedale che dovevano sgomberare e portare con loro i feriti, che per chissà quale imprevisto non avevano portati via a tempo debito. Noi che eravamo riusciti a conoscere, sommariamente, le intenzioni dei tedeschi, cercammo di informare alcuni di quei "capipopolo"; non ci fu verso, non fummo ascoltati, erano troppo presi ad organizzare le barricate. Barricate di masserizie casalinghe che avrebbero dovuto fermare autoblindo!
    I tedeschi dai loro automezzi si sgolavano con i megafoni per avvertire che la loro era un'azione pacifica, di non sostare nelle strade, di non stare ai balconi; non ci fu verso, non ascoltavano. Si verificò ciò che poi le cronache hanno raccontato. Chi ebbe la peggio? La povera gente innocente. Aumentarono i lutti.
    Noi, in pochi ci recammo al Vomero per facilitare l'opera di soccorso di quei soldati tedeschi feriti. Non interessava a noi la nazionalità di quei feriti, se erano tedeschi o di altra nazionalità; era solo un'opera umanitaria. E' superfluo dire che per portarci sul posto dovemmo superare traversie ed anche pericoli innumerevoli, non sto qui a dilungarmi. Riuscimmo però a compiere quanto ci eravamo prefisso, far sì che venissero affidati ai loro compatrioti quei feriti ai quali io mi sentivo particolarmente vicino.
    Chiusa questa parentesi che mi ha fatto uscire un po' fuori dal tema di questo convegno, torno all'argomento in questione.
    Il fatto di aver messo in piedi un settore della citata organizzazione voluta da Muti ci facilitò in seguito nell'intento di costituirci in gruppo dopo l'otto settembre. Voglio però ribadire che in effetti l'organizzazione nacque già il 25 luglio, quando ad alcuni di noi reduci invalidi si unì un folto gruppo di valorosi e volenterosi giovani fascisti proveniente dal disciolto GUF (Gruppo Universitario Fascista). Fu proprio con questo gruppo che nacque il nostro Movimento Clandestino. Le nostre prime riunioni segrete si tenevano in casa di Antonio Picenna, sempre entusiasta e disponibile, in via dei Mille; nonchè in casa di un'altra famiglia, in via Palizzi, anch'essa disponibile, di cui non faccio nome.
    E' utile precisare che con la costituzione della RSI la totalità di questi giovani partirono volontari verso il Nord, con a capo Natale Cinquegrani e Vito Videtta; quest'ultimo, finito poi da eroe con la degna compagna nel martirio seguito al 25 aprile 1945. Non posso negare che con la partenza di codesti camerati si determinò in me una certa angoscia; ma mi furono di grande conforto la valida collaborazione che ricevetti da commilitoni reduci feriti e da vecchi fascisti, alcuni squadristi, come Ruggiero Bonghi e Pasquale Purificato. Validissima fu anche la collaborazione di Elena Rega (non presente a questo consesso solo per ragioni di salute), ultima Fiduciaria Femminile del GUF e inoltre dalla giovanissima Lucia Vastadori, ambedue di esemplare fede negli ideali comuni ed entusiasticamente fattive e coraggiose.
    Riprendendo il nocciolo del discorso. Voglio chiarire il fine che volevamo raggiungere con la nostra Organizzazione Clandestina. Cosa noi volevamo attuare? Quale fine, come detto, volevamo raggiungere? In parte tra le righe l'ho già accennato. 
    In breve. E' da premettere che eravamo coscienti che le sorti della guerra erano compromesse. La realtà ci portava a constatare che il nemico spadroneggiava nelle nostre contrade. L'onore era compromesso, l'umiliazione ci offendeva. Il tradimento del re era quanto di più grave e ignobile potesse capitare. In primo luogo dovevamo con ogni mezzo riscattare l'onore! Nutrivamo quindi un imperativo etico: l'onore!
    Onore che dovevamo principalmente riscattare verso il nemico: gli inglesi, gli americani, come pure verso i tedeschi che, diciamolo, avevamo tradito.
    Ci proponevamo di compiere azioni di disturbo contro le forze nemiche, nel limite delle nostre possibilità, tali però da non coinvolgere la popolazione e l'incolumità dei civili, in rappresaglie come invece fu deliberatamente perpetrato al Nord.
    Fiancheggiare le Forze Armate della RSI, collaborare sotto ogni aspetto con i giovani volontari dei Servizi Speciali, che traversando le linee, operavano qui al Sud, assistendo e agevolando la loro opera e per quando possibile agendo per la loro incolumità. E' importante una precisazione, volevamo, in modo categorico, evitare lo scempio e la vergogna della guerra civile. A questo principio, per noi sacro, non siamo mai venuti meno. Preciso che prima di noi non volevano inutili spargimenti di sangue i Capi della RSI e in primo luogo il Duce; era un comando che egli ci trasmetteva nei messaggi radio. Sommariamente egli diceva: "non voglio che nelle terre occupate avvenga ciò che malauguratamente si sta verificando qui in repubblica, ove con le imboscate dei partigiani comunisti si sparge innocente sangue fraterno".
    Avevamo ancora in programma l'opera di assistenza e di soccorso alla popolazione (che ne aveva tanto bisogno). In vero poco ci fu possibile compiere, le nostre forze economiche erano molto limitate. Il mite, buono, coraggioso Ruggero Bonghi si prodigò molto in questo campo, non solo però in questo.
    Ho premesso che per meglio conoscere gli eventi e il nostro operato è utile consultare gli archivi. Si dovrà farlo anche per conoscere vari personaggi che meritano un attento esame. Personaggi che non possono essere ignorati dalla storia; fra essi anche uomini di alta cultura, maestri di vita.
    E' indispensabile inoltre conoscere l'operato e le spiccate singolari personalità di tanti e tanti giovani volontari delle Forze Armate della RSI, che con grande coraggio operarono qui al Sud. Molti erano giovanissimi, alcuni ancora minorenni. Molti furono condannati a morte con sommari, improvvisati processi e con esecuzioni di morte lugubri, tali da offendere i più elementari principi di ogni forma di dignità umana.
    Ricordarli tutti forse non riuscirà facile. Molte, un gran numero, furono le esecuzioni capitali che gli angloamericani misero in atto verso questi giovani.
    So che non posso ulteriormente dilungarmi; ma so anche che non posso esimermi dal rievocare un passionale momento. Quando, prigioniero al controspionaggio, venni rinchiuso per appena poche ore in cella con sei di questi giovani soldati della RSI, in attesa di essere trasportati al luogo della loro esecuzione capitale decretata dagli inglesi. Venni rinchiuso in quella cella per le intimidatorie manovre che spesso ordiva il nostro spietato capo inquisitore, maggiore Pecorella (ignobile figura, servo dello straniero). Ebbene quei giovani ben conoscevano la loro triste sorte, malgrado ciò essi erano sereni, dignitosi e composti, sapevano di aver fatto il loro dovere al servizio della Patria. Erano esemplari, ammirevoli, coraggiosi; quanto altro potrei dire di loro? Volevano essi animare me, pur essendo io molto più anziano di loro.
    Potrebbe sembrare debolezza, ma non lo era: nutrivano rimorso per la sofferenza, il dolore che sapevano di arrecare alle rispettive madri. Erano dotati di uno spiccato amore per la famiglia, per la madre, come per la Patria. Quanto ho appreso in quei brevi momenti!
    Per concludere. Negli anni che ci separano da quel triste ma fatidico periodo della lotta clandestina ai giorni nostri, molti di noi ci siamo con insistenza interrogati su cosa noi riuscimmo a compiere di concreto. Compimmo in pieno il nostro dovere? Quanto fu utile la nostra opera alla causa comune, con il sacrificio, l'olocausto di tanti? E' stata forse proprio questa la ragione per cui della Lotta Clandestina nelle Terre occupate, sia pure con ritardo, se ne discute. Insisto nel dire, per meglio conoscere la verità si dovranno consultare gli atti ufficiali desunti dagli archivi che però ci restano preclusi per disposizioni politiche.
    Vogliamo che si sappia la VERITA' non la storia distorta da politici.
    Viva l'ITALIA! 

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