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CONTROSTORIA FUTURA

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Atti del Convegno di Napoli (8 novembre 1998)

TESTIMONIANZA

di Poldo Siani di Castellammare di Stabia

Leopoldo "Poldo" SIANI ha frequentato l'Accademia di Educazione Fisica della Farnesina ed è stato capo manipolo della Gioventù Italiana del Littorio. Si arruolò volontario a 18 anni già nel gennaio 1940. In guerra operò in Libia nel Fezzan a disposizione del Servizio di Informazioni Militari. Ferito e ammalato fu rimpatriato e ricoverato nell'Ospedale di Nocera. Ha insegnato Educazione Fisica nei Licei. Ha ricevuto diverse minacce anonime di morte per la sua fede e l'impegno nella lotta clandestina 43-45 divenuta di pubblica conoscenza con il suo arresto.
 
    L'8 settembre ero in Italia in quanto, dopo essere partito volontario ed essere stato ferito in Africa Settentrionale, ero in congedo ed essendo la mia famiglia sfollata da Castellammare a Parete ( Salerno), stavo tornando a casa mia, a Castellammare, per prendere qualche provvista di alimentari.
    Qui assistetti ad una scaramuccia tra soldati italiani e tedeschi. Riuscii a convincere il tenente italiano ed i soldati, che avevano avuto uno scontro a fuoco in città, a smettere ed a ricoverarsi a casa mia. Curai un ferito al braccio. Un altro ferito più grave lo portammo all'ospedale e fornii ai soldati abiti civili racimolati anche tra il vicinato.
    Durante il viaggio di ritorno a Parete mi capitò di imbattermi in un improvvisato campo di raccolta di civili rastrellati dai tedeschi.
    Essendomi rilevato e documentato quale capomanipolo della GIL, riuscii a far liberare 20 concittadini di Castellammare di Stabia.
    La vita era difficile per tutti, soprattutto per la mancanza di generi commestibili.
    Gli angloamericani erano sbarcati a Paestum, a Vietri, a Maiori ed a Minori ; alcuni reparti si erano arrampicati fino al valico di Chiunzi, ma non si azzardarono a scendere a valle, sulla strada che conduce a Napoli, perché un unico cannone semovente tedesco li teneva sotto tiro, spostandosi continuamente.
    Quando poi, essendo ormai lontano i tedeschi, gli "alleati" si decisero, sempre prudentemente, a scendere dalla montagna, la situazione di noi civili peggiorò : non si trovava nulla da mangiare e cosa ancora peggiore i " liberatori" ebbero la felice idea di lasciare liberi i pazzi ricoverati nei manicomi di Materdomini e di Nocera Inferiore. Questi poveracci si aggiravano senza meta e venivano a bussare alle porte delle case per chiedere qualcosa da mangiare.
    Tornammo poi a Castellammare, che era già occupata da reparti americani. Erano molto indisciplinati; al contrario dei tedeschi, si ubriacavano e molestavano le donne, volevano entrare nelle case e facevano mille soperchierie. Tanto che ci furono episodi di reazione nella popolazione locale.
    Inoltre si incrementò il mercato nero. Approfittando della scarsezza di tutto il necessario, i soldati e anche gli ufficiali vendevano i materiali di approvvigionamento . Anche io assieme ad un amico, comprai ottanta scatole di carne da un ufficiale americano.
    In questi frangenti mi avvicinò il camerata Giuseppe Abbate che , conoscendo i miei sentimenti, mi invitò a partecipare a all'attività del fascismo clandestino di cui mi accennò cautamente il fermento in atto.
    Accettai senza esitare.
    Il capo del Gruppo di Castellammare era Rosario Joele ; Abbate teneva i contatti con Napoli e talvolta partecipava alle riunioni che si tenevano per concertare l'attività.
    C'era con noi anche un gruppo di studenti .: ricordo Raul Filone. Bruno De Fusco, Giuseppe Sica, Dante D'Auria, Nicola Santarpia, Gaetano Cappettelli. C'erano anche altri giovani di cui non ricordo il nome.
    Mi torna in mente un fatto tragicomico. Quando andarono ad arrestare un altro camerata clandestino di Castellammare, dipendente dei Cantieri Metallurgici, ( si chiamava Cavazzini ) fecero una accurata perquisizione e trovarono il piede di un tavolino che stava riparando. 
    Lo zelo dei carabinieri del Contro spionaggio era acuito dal servilismo. Ebbene ebbero il coraggio di scrivere che Cavazzini si proponeva di trasformare i Cantieri Metallurgici in una fabbrica di ... manganelli. Sic !
    Io ero forse il meno attivo dei clandestini, ero impegnato con la scuola, insegnavo educazione fisica al liceo e facevo anche molto sport. 
    C'era invece una squadra di giovani che preparavano il campo di atterraggio sul Monte Megano - non troppo lontano da Castellammare - dove arrivavano gli agenti speciali della RSI paracadutati da un aereo tedesco più volte.
    I contatti con la RSI erano tenuti a mezzo radio da Napoli e attraverso Abbate venivamo allertati noi di Castellammare. Qualche volta venne da noi anche Nando di Nardo, che si incontrava con Joele.
    Mi è stato detto che i paracadute usati per questi lanci spesso notturni erano di un colore azzurro per essere meno visibili.
    Non conosco altri dettagli perché all'epoca se ne parlava il meno possibile ed io evitavo a mia volta di chiedere anche se ero molto interessato.
    Quando vennero ad arrestarmi a casa, mi affacciai da una finestra e vidi appostata, davanti al mio portone, addirittura una mitragliatrice.
    Il maggiore Pecorella in persona ( capo del controspionaggio di Napoli ) guidava zelantemente le operazioni di perquisizione. Rivoltarono sottosopra tutta la casa.
    Non trovarono nulla, ma mi portarono ugualmente con loro. - Per cinque minuti - dissero.
    Cinque minuti che durarono diciotto mesi.
    Mi portarono a Poggioreale (il carcere di Napoli) nella cella n°5 del padiglione Italia.
    Mi sottoponevano ad interrogatori stringenti, anche di notte. - Raccontaci di quello che hai fatto dalla 5^ elementare in poi -. Gli raccontai un sacco di fesserie. Venivano anche di notte. Avevano preso l'abitudine di entrare silenziosamente nella cella mentre dormivo e mi saltavano all'improvviso addosso in due.
    - Conosci questo? - Mi chiedevano se conoscevo un tal Wessel.
    Mi ero stancato di questa loro ottusa insistenza, così decisi di dormire di giorno e restare sveglio di notte, in attesa della solita visita.
    Appena provarono a saltarmi addosso, fui lesto a scansarmi più in là, in modo che al buoi sbatterono la testa contro il muro; non contento di ciò, essendo allora un buon pugile, tirai anche loro addosso una scarica di pugni ben assestati.
    Mi mandarono in cella di rigore per venti giorni.
    Quando alla fine mi concessero di andare nell'apposito cortiletto a" prendere aria", incontrai un tenente della Decima MAS condannato a morte, che era stato preso prigioniero sulla spiaggia di Anzio dagli inglesi.
    Erano partiti con un motoscafo portando con sè abbastanza esplosivo per attentare alla vita di Clark e di Alexander. A causa del mare grosso, tra mal di mare e difficoltà di navigazione, arrivarono con due ore di ritardo nell'orario programmato.
    Gli inglesi li aspettavano sulla spiaggia, informati dal maresciallo telegrafista Carotenuto, badogliano infiltrato nella Decima- lo stesso che fu poi paracadutato sul Monte Megano con altri agenti speciali della RSI e che denunziò agli "Alleati" tutti noi.
    Ma gli inglesi vollero fare anche del sarcasmo con il tenente della Decima e gli dissero . - Vi aspettavamo alle 4, come mai avete fatto ritardo ? -.
    Dopo qualche mese fui trasferito al campo di concentramento di Padula, arrangiato nella celebre certosa. Il caso volle che un ufficiale inglese dell'amministrazione del campo si fosse innamorato della cameriera di mio cugino, e così ottenni di essere alloggiato in un "flat". I "flats"(appartamenti) erano al primo piano e consentivano una maggiore riservatezza che era impossibile nei cameroni del piano terra in cui erano alloggiati cento prigionieri per parte.
    Nel "flat" c'era anche Valerio Pignatelli e altri principi e un duca romani, per i quali gli inglesi avevano un certo reverenziali riguardo. Il mio letto a castello ospitava nel pagliericcio a livello superiore il Comandante Lauro.
    A Padula passarono anche Nando di Nardo e tanti altri camerati clandestini e no. Vi incontrai il capitano Cappellari del SIM con il quale avevo collaborato in guerra nel Fezzan.
    Dal campo di Padula facemmo evadere due fascisti condannati a morte, passando loro due bracciali rossi da lavoratori e tagliando i reticolati.
    Le sentinelle del campo se ne accorsero a cose fatte ma spararono egualmente e ferirono per fortuna solo ad un dito il mio compagno di azione.
    La custodia del campo era affidata a truppe indiane di Ceylon che noi avevamo soprannominato "pappagalli". Appena potevano largivano volentieri scudisciate e calci nel sedere, ma a noi dei "flat" ci trattavano bene perché Lauro faceva correre parecchi quattrini,
    Vorrei aggiungere una notizia fuori tema ma che reputo interessante.
    Mentre ero ricoverato all'ospedale di Tripoli per le ferite riportate da schegge di bomba aerea e per una nefrite contratta nel Fezzan, conobbi il comandante della San Giorgio, il vecchio incrociatore ancorato davanti al porto di Tobruk in funzione antiaerea con le sue 49 bocche da fuoco.
    Il comandante mi disse che quando arrivò dal mare l'aereo di Balbo la San Giorgio sparò con tutti i suoi pezzi pensando che fosse un attacco nemico, ma non riuscì a colpirlo. Lo colpì invece il sommergile Turbine che stava navigando in emersione nella baia.
    Questo appresi allora e sicuramente tutte le congettura fatte poi sulla morte di Balbo sono false.

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