Carlo Fecia di Cossato. Chi era quest’uomo? Domanda forse retorica per il pubblico di questa sala, ma supponiamo di essere come quei giovani (o anche meno giovani) la cui cultura è stata forgiata, purtroppo, da certo qualunquistico conformismo sinistroide o, peggio, dalla televisione e dagli altri mezzi di informazione e di spettacolo di massa. Se avessimo avuto una tale educazione, l’uomo di cui vogliamo parlare stasera potrebbe esserci sconosciuto. E allora la prima idea che ci sarebbe venuta spontanea, visto che siamo nel nuovo millennio, la prima idea per saperne di più sarebbe stata quella di andare a interrogare internet, questa specie di pozzo senza fondo di informazioni (non di sapere – si badi bene) più o meno utili. L’abbiamo fatto ugualmente e ci siamo subito imbattuti niente meno che nel sito ufficiale della Marina militare italiana all’indirizzo http://www.marina.difesa.it/storia/MOVM/Parte06/MOVM6050.htm . In esso a Carlo Fecia di Cossato sono dedicate due pagine, che recitano esattamente così:
Medaglia d’oro al valor militare
Valente ed ardito comandante di sommergibile,
animato fin dall'inizio delle ostilità, da decisa volontà di successo, durante
la sua quinta missione di guerra in Atlantico affondava 4 navi mercantili per
complessive 20.516 tonnellate ed abbatteva , dopo dura lotta un quadrimotore
avversario. Raggiungeva così un totale di 100.000 tonnellate di naviglio
avversario affondato stabilendo un primato di assoluta eccezione nel campo degli
affondamenti effettuati da unità subacquee.
Successivamente comandante di torpediniera,
alla data dell'armistizio dava nuova prova di superbo spirito combattivo
attaccando, con una sola unità, sette unità germaniche di armamento prevalente
che affondava a cannonate dopo aspro combattimento, condotto con grande bravura
ed estrema dedizione.
Esempio fulgido ai posteri di eccezionali virtù
di comandante e di combattente, e di assoluta dedizione al dovere.
Nacque a Roma il 25 settembre 1908. Dopo aver completato gli studi
al Regio Collegio Militare di Moncalieri venne ammesso all'Accademia Navale di
Livorno e nel 1928 conseguì la nomina a Guardiamarina.
Promosso Sottotenente di Vascello l'anno successivo, dopo un
periodo di imbarco venne destinato al Distaccamento Marina di Pechino (Cina).
Rimpatriato, frequentò il Corso superiore e da Tenente di Vascello partecipò,
imbarcato su unità sommergibile, a due missioni speciali nelle acque spagnole
durante la guerra civile spagnola.
Allo scoppio del secondo conflitto mondiale, che trovò Carlo
Fecia di Cossato al comando del sommergibile Ciro Menotti,
dislocato a Messina nell'ambito della 34a Squadriglia, operò in numerose
missioni di agguato offensivo e nel dicembre dello stesso anno assunse il
comando del sommergibile Tazzoli operante in Atlantico, alle dipendenze
di Betasom.
La sua attività in Atlantico si concretizzò con l'affondamento
accertato di 18 unità mercantili, per un totale di 96.553 tsl, ed una
danneggiata per ulteriori 5.449 tsl, richiamando sulla sua persona e sull'Unità
al suo comando l'ammirazione del nemico per il cavalleresco comportamento tenuto
in ogni circostanza di tempo e luogo. Nel febbraio 1943, dopo una lunga missione
compiuta lungo le coste del Brasile, rientrò in Italia ed ebbe il comando della
3a Squadriglia Torpediniere con insegna sull'avviso scorta Aliseo con il
quale, il giorno 9 settembre, sostenne un vittorioso scontro nelle acque di
Bastia (Corsica) contro 7 unità tedesche di armamento superiore.
Segui poi le sorti della Squadra Navale italiana dirigendo su
Malta. Tuttavia gli avvenimenti successivi all'armistizio turbarono
profondamente la sua coscienza di soldato e il 27 agosto 1944 si uccise a
Napoli.
Altre decorazioni:
Medaglia
d'Argento al Valore Militare (Oceano Atlantico, aprile-maggio 1941);
Medaglia
d'Argento al Valore Militare (Oceano Atlantico, febbraio-aprile 1942);
Medaglia
di Bronzo al Valore Militare (Oceano Atlantico, luglio-settembre 1941);
Medaglia
di Bronzo al Valore Militare (Oceano Atlantico, giugno-settembre 1942);
Medaglia
di Bronzo al Valore Militare (Acque di Bastia, settembre 1943);
Croce
di Guerra al Valore Militare (Mediterraneo, luglio 1943);
Croce
di Ferro tedesca di 2a Classe (30 giugno 1941);
Croce
di Ferro di 1a Classe (dicembre 1941);
Un po’ pochino per farsi un’idea precisa, soprattutto se ci caliamo nei panni di quell’ipotetico giovane, la cui cultura sia stata forgiata coi metodi prima accennati. Che sia stato un bravo comandante di sommergibili si accerta dalla sfilza di decorazioni ricevute, ma per il resto le idee rischiano di confondersi ancora di più. Dopo un bel po’ di affondamenti in oceano Atlantico di naviglio mercantile di nazionalità non precisata (ma presumibilmente inglese o alleata, visto che quello – fino a prova contraria – era il nemico) segue un “vittorioso scontro” a Bastia, in Corsica, contro 7 unità tedesche di armamento superiore. La data: il 9 settembre 1945; solo un giorno dopo quel famoso triste 8 settembre in cui l’Italia rese pubblico e ufficiale un armistizio e un voltafaccia (chiamiamo le cose con il loro nome, senza falsi pudori!) già decisi e firmati qualche giorno prima. Segue poi una frase alquanto sibillina: “Seguì poi le sorti della Squadra Navale italiana dirigendo su Malta.”. E per finire, per aumentare ancor più l’alone di mistero, la notizia a bruciapelo del suicidio a Napoli, un mese prima di compiere 38 anni.
Chi fu veramente Carlo
Fecia di Cossato? Analizzando la storia della sua breve vita, si vede innanzi
tutto che egli fu un gentiluomo, di titolo e di fatto. La sua era una nobile
famiglia piemontese, originaria di Biella, col titolo araldico di conte. Il
motto di famiglia recitava: “Ex optimo vino etiam faeces” (anche dal vino più
buono viene la feccia”, dando così una spiegazione al cognome Fecia, che
derivava invece da Fesh, cognome del capostipite giunto d’oltralpe al seguito
di Umberto Biancamano. Da sempre i Fecia di Cossato avevano ricoperto importanti
incarichi pubblici e, soprattutto dalla fine del ‘700 in poi, si erano
dedicati anche alla carriera militare. In particolare il padre del nostro Carlo,
che aveva lo stesso nome di battesimo, fu il primo ad entrare in Marina, dove
raggiunse il grado di capitano di vascello; in tal modo egli si adeguò in pieno
ad una tradizione della nobiltà savoiarda, che, nonostante non avesse il mare a
portata di mano, era invece particolarmente legata alla Marina militare. Il
tratto comune dei Fecia di Cossato era comunque l’assoluta fedeltà alla
monarchia sabauda, e Carlo era perfettamente rispondente a questo prototipo. Per
lui la fedeltà al re era ragione di vita: in nessun modo avrebbe solo
lontanamente potuto pensare di non obbedire a un ordine che venisse dal suo
sovrano. Fin dall’infanzia, Carlo (o Charlot, come veniva chiamato
confidenzialmente in famiglia) dimostrò un carattere integerrimo e una profonda
e innata dirittura morale. Molto riservato anche se capace di grandi affetti,
era completamente chiuso ai compromessi e niente affatto litigioso, anche se
un’evidente ingiustizia poteva farlo adirare. Completati gli studi, entrò
giovanissimo all’Accademia navale di Livorno, e ne uscì come guardiamarina,
dopo aver superato brillantemente gli esami, per imbarcarsi l’11 luglio 1928
sull’incrociatore Ancona. Chiese di diventare osservatore aereo come il
fratello Luigi, morto precipitando col suo velivolo in Calabria, ma, proprio per
la tragica fine del fratello, il capo di stato maggiore della Maria, ammiraglio
Siriani, amico del padre, non volle accontentarlo e lo inviò invece in Cina,
dove rimase imbarcato per ben due anni. Saltiamo a piè pari i successivi
imbarchi nel Mediterraneo (anche su sommergibili), e ritroviamo Fecia di Cossato
alla fine del ’40, a guerra appena iniziata, come comandante in seconda sul
sommergibile Tazzoli a Betasom; il 5 giugno del ’41 egli assunse poi il
comando dello stesso sommergibile. Qui il nostro Carlo si distinse per
l’attaccamento al dovere (in missione non dormiva mai e si teneva sveglio con
caffè e sigarette), per la simpatia che riscuoteva presso i suoi marinai, per
il sentimento cavalleresco e la generosità nei confronti dei nemici sconfitti.
Proprio per la sua grande resistenza fisica rimase imbarcato sul Tazzoli per ben
22 mesi; un vero record ove si considerino le condizioni di estremo disagio su
un sommergibile in guerra: spazi ristretti, ambiente malsano, aria irrespirabile
per il fetore della nafta, dell’acido delle batterie, del sudore, delle
latrine, dei corpi lavati poco e male, costante pericolo di vita e, in più per
il comandante, la responsabilità per l’incolumità della sua nave e dei suoi
uomini. Fecia di Cossato sopportò tutto questo in modo tanto eccezionale da
fargli meritare la stima dei suoi marinai e dei colleghi ed inoltre
l’ammirazione degli stessi alleati tedeschi, nessuno dei cui comandanti
sommergibilisti era mai arrivato a tanto. In questo periodo affondò quasi
100.000 tonnellate di naviglio nemico, guadagnandosi le medaglie al valore
italiane ed anche le croci di ferro tedesche, che abbiamo già visto citate sul
sito internet della marina. Al termine del lungo periodo da sommergibilista,
nell’aprile del ’43, Fecia di Cossato assunse il comando di una nave di
superficie nel Mediterraneo, l’avviso scorta Aliseo, facente parte della 5^
squadriglia torpediniere di scorta. Le azioni belliche furono però pressoché
inesistenti, dato che la guerra d’Africa era ormai terminata, ingloriosamente.
Fin qui la guerra “normale”.
L’8 settembre 1943 colse l’Aliseo nelle acque de La Spezia. Giunse qui lo stesso giorno l’ammiraglio Nomis di Pollone per assumere il comando di tutte le siluranti dell’alto Tirreno, insieme con il duca Aymone d’Aosta. Già erano partite verso il loro destino le navi da battaglia al comando dell’amm. Bergamini, come ha ampiamente illustrato il prof. Lodolini. Nomis di Pollone e il duca Aymone si inbarcarono sull’Aliseo. Scelsero proprio quella nave, a riprova della nota fedeltà del comandante alla causa dei Savoia. Mossa opportuna in un momento di grande incertezza, in cui non si poteva prevedere la reazione non solo dei marinai, che potevano ammutinarsi, ma anche di alcuni comandanti più legati al fascismo che al re, in un momento in cui la sorte della flotta appariva incerta. Ad ulteriore riprova della cieca fedeltà alla causa dei Savoia di Carlo Fecia di Cossato, si può citare l’episodio di Bastia (Corsica) del giorno dopo. Qui l’Aliseo era ancorato insieme con due caccia e cinque motozattere della marina tedesca. Alla notizia del voltafaccia i tedeschi tentarono di aggredire gli italiani, ma la pronta reazione dell’Aliseo portò all’affondamento di uno dei caccia tedeschi ed alla fuga del resto della squadra. Fecia di Cossato fu quindi il primo comandante di marina che applicò alla lettera i dettami dell’armistizio, e possiamo essere certi che lo fece in perfetta buona fede e convinto di compiere il proprio dovere per il bene del re. Del resto quest’azione gli valse una medaglia di bronzo al valor militare: l’ultima delle sue decorazioni. Con la stessa buona fede e lo stesso convincimento condusse poi le sue navi a Palermo e poi a Malta e partecipò in seguito alla cobelligeranza. Il Ministro della Marina De Courten aveva infatti detto che la consegna delle navi senza combattere al nemico era un ordine del re, triste e doloroso, ma necessario per la sopravvivenza stessa della monarchia. Un tale ordine era per un marinaio peggiore della morte, perché ne uccideva l’onore, secondo la legge universale di tutti gli uomini di mare. Ma Fecia di Cossato obbedì senza batter ciglio: il suo carattere adamantino, la sua fedeltà al giuramento monarchico gli impedì di vedere all’inizio quello che altri comandanti già avevano capito o stavano incominciando a capire. Ma anche Carlo Fecia di Cossato alfine se ne rese conto. Giunto a Taranto, trovò una città occupata dagli alleati, che consideravano la nostra una terra di conquista, con tutte le conseguenze di degrado, vergogna, indegnità alle quali la miseria aveva costretto la popolazione civile. Il governo Badoglio fu sostituito dal governo di Ivanhoe Bonomi e i nuovi ministri non giurarono fedeltà al re, e non lo fece nemmeno il ministro della Marina, amm. De Courten. Per i comandanti della flotta e in particolare per Fecia di Cossato, questo fu un colpo terribile. A conferma di questa presa di coscienza da parte di Cossato basti citare le disposizioni che egli impartì alla sua squadriglia di torpediniere quando, agli inizi di giugno ’44, si sparse la voce che le navi italiane, nonostante la cobelligeranza, sarebbero state cedute ad altre nazioni. Ve le leggo testualmente:
Se
venisse confermato l’ordine di consegna, dovunque vi troviate lanciate tutti i
vostri siluri e sparate tutti i colpi che avete a bordo contro le navi che vi
stanno intorno, per rammentare agli angloamericani che gli impegni vanno
rispettati; se alla fine starete ancora a galla, autoaffondatevi.
La situazione precipitò
in occasione della festa della Marina, il 10 giugno ’44. Nel messaggio
ufficiale di De Courten il re non era citato ed anzi si seppe che un messaggio
alle forze armate di Umberto dell’8 giugno era stato volutamente ignorato e,
solo in seguito alle forti proteste dei marinai della base di Taranto, fu
pubblicato in ritardo il successivo 17 giugno. Ma la cosa che più fece
indignare tutti fu il fatto che i ministri non dovessero più giurare fedeltà
alla Corona. Per calmare gli animi Nomis di Pollone decise di convocare tutti i
comandanti il 22 giugno, ma, durante l’incontro, proprio Fecia di Cossato, lui
così ligio al dovere, essendosi reso conto che non obbediva più al re, uscì
dalle fila degli ufficiali e dichiarò: “No,
ammiraglio, questa volta non dobbiamo obbedire e domani la mia nave non uscirà”.
La sera stessa fu convocato a palazzo Resta a Taranto, sede del ministero della
Marina, e gli fu chiesto di recedere dal suo proposito, ma ovviamente egli
rifiutò e, come diretta conseguenza fu messo agli arresti in fortezza.
L’equipaggio dell’Aliseo si ribellò e così fecero anche altre navi della
base di Taranto. Gli uomini dichiararono che la protesta non sarebbe cessata
finché Cossato non fosse stato liberato. Si ricorse così ad una decisione
farisaica (in seguito avremmo fatto il callo a cose del genere): Cossato fu
liberato e mandato in licenza a Napoli. Qui fu ospite dell’amico e collega
Ettore Filo della Torre a villa Pavoncelli, ma sicuramente la vista di una città
ancora più degradata e prostituita – oserei dire – di Taranto (vedi “La
pelle” di Curzio Malaparte) non dovette far bene al suo spirito.
Egli forse si rese conto
di aver sbagliato tutto: il re praticamente non c’era più, i suoi ideali
erano stati traditi ed egli era stato ingannato e costretto a sacrificare il suo
onore di marinaio per niente. Si vide circondato di opportunisti, di mezze
calzette, di gente senza onore (qualcuno arrivò persino a negargli l’accesso
al circolo ufficiali della Marina, e possiamo essere certi che proprio questi
personaggi fossero indegni di accedervi).
Chiese udienza
all’unico punto di riferimento che potesse restargli, al reggente Umberto che
sarebbe stato il re di maggio. Ma questi probabilmente non fu neanche informato
di questa richiesta e comunque l’incontro non avvenne mai.
Fecia di Cossato, che era
tutto d’un pezzo, non poteva sopportare il degrado e la piccineria dell’Italietta
che si stava formando e che purtroppo in gran parte sussiste tuttora. Cominciò
a maturare l’idea del suicidio e a nulla valse, se non a ritardarlo,
l’amicizia con una nobildonna bolognese, che fu (ci si conceda una digressione
umana) l’unico legame sentimentale della sua vita, se si esclude la passione
giovanile per una ragazza cinese che conobbe nei due anni passati in Cina.
Dopo aver scritto, da
perfetto gentiluomo, una lettera di scuse all’amico e ospite Filo della Torre,
la notte del 28 agosto 1944, a villa Pavoncelli, si uccise con un colpo di
pistola alla testa. Il suo corpo fu sepolto, avvolto nel tricolore, dai suoi
marinai nel cimitero di Poggioreale. Umberto di Savoia, che non aveva voluto o
potuto riceverlo, volle poi curarne a proprie spese il trasferimento a Bologna.
Non si creda che il suicidio fosse stato prodotto da un improvviso cedimento. L’atto fu profondamente meditato, e lo dimostra la lettera indirizzata alla madre in data 21, una settimana prima. Consentitemi di leggervela integralmente:
Mamma carissima, quando
riceverai questa mia lettera saranno successi fatti gravissimi che ti
addoloreranno molto e di cui sarò il diretto responsabile. Non pensare che io abbia
commesso quel che ho commesso in un momento di pazzia, senza pensare al
dolore che ti procuravo. Da nove mesi ho soltanto
pensato alla tristissima posizione morale in cui mi trovo, in seguito
alla resa ignominiosa della Marina, resa a cui mi sono rassegnato solo
perché ci è stata presentata come un ordine del Re, che ci chiedeva di
fare l’enorme sacrificio del nostro onore militare per poter rimanere
il baluardo della Monarchia al momento della pace. Tu conosci che cosa
succede ora in Italia e capisci come siamo stati indegnamente traditi e
ci troviamo ad aver commesso un gesto ignobile senza alcun risultato. Da
questa triste constatazione me ne è venuta una profonda amarezza, un
disgusto per chi mi circonda e, quello che più conta, un profondo
disprezzo per me stesso. Da mesi, Mamma, rimugino su questi fatti e non
riesco a trovare una via d’uscita, uno scopo alla vita. Da mesi penso
ai miei marinai del «Tazzoli» che sono onorevolmente in fondo al mare
e penso che il mio posto è più con loro che con i traditori e i
ladruncoli che ci circondano. Spero, Mamma, che tu mi
capirai e che, anche nell’immenso dolore che ti
darà la notizia della mia fine ingloriosa, saprai sempre capire
la nobiltà dei motivi che la guida. Tu credi in Dio, ma se
c’è un Dio, non è possibile che non apprezzi i miei sentimenti che
sono sempre stati puri e la mia rivolta contro la bassezza dell’ora.
Per questo, Mamma, credo che ci rivedremo un giorno. Abbraccia papà e le
sorelle e a te, Mamma, tutto il mio affetto profondo e immutato. In
questo momento mi sento molto vicino a tutti voi e sono certo che non mi
condannerete. Charlot |
Questa lettera dice
tutto. Se questo convegno è dedicato al dissenso nella Marina dopo l’8
settembre del ’43, credo che nessuna storia sia più emblematica di questa di
Carlo Fecia di Cossato. Egli, fedele per natura, arrivò tardi al dissenso,
perché arrivò tardi all’agnizione. Ma lo espresse portandolo alle estreme
conseguenze, offrendo la sua vita sull’altare dei suoi ideali traditi. Fulgido
esempio di eroe, che non ebbe la fortuna di perire in battaglia, come l’amm.
Bergamini, ma proprio per questo grandissimo nella sua sconfitta e nella sua
resurrezione.
Paolino Vitolo