E’ un ringraziamento sentito quello che rivolgo agli organizzatori di questo Convegno, ai Relatori tutti dei quali in questa sede si apprezza tutta l’intelligenza e la preparazione, al lavoro di Francesco Fatica e di Uccio De Santis instancabili ideatori e realizzatori di questa iniziativa nella prestigiosa sede dell’Emeroteca Tucci di Salvatore Maffei che con il proprio prestigio conferisce ulteriore enfasi e rilevanza per un tema importante come quello di cui oggi si tratta.
L’analisi dei percorsi culturali, dello sviluppo economico, del progresso sociale tra le due guerre in Italia, a Napoli e in Campania, un’ analisi resa ancora più concretamente percepibile attraverso l’accento posto mirabilmente da Domenico Orlacchio sull’edilizia e l’urbanistica dell’epoca, potrebbe apparire a prima vista un discorso di natura storicistica - o addirittura pervaso di infruttuosa nostalgia ,come ad alcuni ancora piace ripetere - mentre è ,invece, una tematica di grande attualità attorno alla quale si misura il futuro dell’Italia.
Nel breve spazio concessomi, data la molteplicità e il rilievo degli interventi, cercherò telegraficamente di spiegare questa affermazione che potrebbe apparire presuntuosa se non scaturisse da una convinzione profonda e da molteplici e documentati approfondimenti svolti nel tempo.
Perché dunque il futuro stesso della nostra Patria è messo in discussione dalla consapevolezza o meno dei grandi progressi, delle immense conquiste che durante la parte centrale del secolo passato vennero coralmente compiute dall’intera Nazione?
Domandiamoci innanzitutto che cosa i giovani di oggi dalle famiglie, dalle scuole, dalle televisioni, dalla letteratura dominante, abbiano mai potuto apprendere delle grandi conquiste di civiltà conseguite in un arco temporale purtroppo troppo breve, compreso tra due guerre, nel quale tuttavia uno “Stato nuovo” si realizzò lasciando segni indelebili nella legislazione, nell’economia, nelle arti, nel pensiero, nel paesaggio e nella stessa maniera d’essere della nostra gente.
Solo qualche esempio per capirci meglio. Vi domando e mi domando: un giovane sa forse quando è nata una legislazione articolata a difesa della dignità del lavoratore e della sicurezza sul lavoro, oggi che si parla del fenomeno non risolto delle cosiddette ‘morti bianche’. Sa egli, per dirla in breve, cosa fu la Carta del Lavoro, la nascita di enti-istituzioni come Inps, Inail?
I giovani di oggi, gli adulti di domani, saprebbero mai rispondere ad una domanda su come il Paese reagì alla grande crisi economica internazionale degli anni ’30 (la c.d. ‘quota novanta’) e che cosa fu l’autarchia, ora che il morso della povertà si ripresenta in maniera angosciante in tempi di osannata globalizzazione?
Continuando, i ragazzi di oggi sanno forse quali sono le tracce che il Futurismo seppe imprimere ad un mondo, dico il mondo intero, che già allora presentava segni di decrepita decadenza? Che cosa fu l’Accademia d’Italia con i sue mille talenti coinvolti in un unico grande progetto di rinnovamento da Marinetti a Mascagni, da Marconi a Pirandello, a D’Annunzio, a Fermi, a Di Giacomo. Il nome di Giovanni Gentile fa storia a sé. E anche in questo caso chiediamoci se i nostri giovani sfogliano mai le pagine dell’Enciclopedia Italiana, monumento della nostra cultura di ogni tempo, da lui immaginata e realizzata.
Ha raccontato mai loro qualcuno con chiarezza il grande disegno di sistemazione e valorizzazione del territorio, come oggi si dice, che dalla bonifica delle paludi pontine all’acquedotto pugliese vide intere regioni aprirsi alla modernità con opere di incommensurabile portata e persino la nascita di nuove città: Littoria, Sabaudia, Pontinia, Aprilia, Pomezia. Mussolinia, Carbonia, Fertilia, Guidonia, Arsia, tutte dislocate al Sud perché lo Stato allora davvero fu attento alle sorti del meridione d’Italia. Il processo fu ancora più esteso se si pensa che investì intere regioni del Mediterraneo e dell’Africa (da Rodi all’Asmara, tanto per non rimanere nel vago).
Non meno significative le conquiste in campo civile, morale e intellettuale. Nei giorni in cui si parla tanto di aborto e della necessità di una moratoria sulla più grande strage che il genere umano sta compiendo in danno di se stesso, nei giorni in cui si arriva addirittura ad elevare lo scherno sino al livello del Santo Pontefice in nome di una pretesa libertà della donna di fare scempio della prole, nei giorni in cui si dibatte pretestuosamente di laicità e laicismo, come non ricordare, senza tema di alcuna apologia, i Patti Lateranensi con cui trovavano definitiva pari dignità i valori del libero Stato e quelli altrettanto sacrosanti della Chiesa. Come non ricordare in proposito un’altra fondamentale istituzione, poi scomparsa nel nulla : quella O.N.M.I.., l’ Opera Nazionale Maternità e Infanzia di cui ci sarebbe tanto bisogno per sollevare il presente da tante drammatiche questioni familiari e assicurare un futuro al genere umano.
Dobbiamo quindi domandarci ancora come mai una simile coltre d’ignoranza sia potuta calare su un tratto saliente della nostra storia. “Un popolo, una civiltà che dimentica la propria storia perde la propria identità, la propria solidarietà, svanisce. Se gli italiani hanno smesso di insegnare la storia ai loro figli è perché stanno perdendo la fiducia in se stessi, non sono più orgogliosi di ciò che hanno fatto nel passato, non credono più di poter fare cose importanti nel futuro. Chi cancella la sua storia perde la speranza. Solo chi la ritrova, ritrova la speranza”. Queste frasi sono state scritte da Francesco Alberoni praticamente nello stesso giorno in cui si celebra questo Convegno, amplificando e sottolineando la responsabilità di quella pseudo -cultura di stampo marxista che pretese di voler cancellare la memoria degli italiani. Si impossessarono a piene mani di mezzi di informazione, di tutte o quasi le redazioni cultura dei principali quotidiani, delle case editrici, delle Università degli studi, del sistema giustizia. E fu la strage. La strage dei ricordi e dei valori per ridurci,nel solco di un odio preconcetto,nelle condizioni in cui ci troviamo.
Si compì così la più grande truffa del secolo, la più grossa mistificazione immaginabile. ’ Da oltre sessant’anni è concesso parlare di Fascismo solo in relazione ad eventi bellici. Da ogni parte deprecati , ma che comunque vanno inquadrati in un unico quadro di riferimento perché contestuali. Dai campi tedeschi alle foibe istriane, da Katyn in Polonia sino a Hiroschima e Nagasaki in Giappone, dalla distruzione di civilissime città come Dresda e Hannover è tutto un rosario di sofferenze e patimenti inconcepibili per ogni coscienza . Ma il Fascismo fu altra cosa. Il Fascismo fu e resta ciò di cui oggi si parla in questo convegno: Cultura, Sviluppo economico, Progresso sociale, Edilizia e Urbanistica. Non mi stanco mai di ripetere un concetto che Romano Mussolini pronunciò durante un’intervista che raccolsi qualche anno fa in occasione di un concerto che con la sua band eseguì a Scanno. Mi disse, ripeto a memoria, mio padre ha perso la guerra dei carri armati ma ha vinto quella delle grandi opere costruendo un’Italia nuova. E’ la verità. E quindi colgo l’occasione per rivolgere ancora una volta a tutti, -qualsiasi la collocazione partitica di ciascuno- per la propria e l’altrui onestà intellettuale di rifiutare con tutta la forza ogni assimilazione tra avvenimenti storici in pace e fatti di guerra. Mai accettare la provocazione, né tampoco speculsae su di essa. Non bisogna cascare nel tranello teso dall’intellighenzia dei discepoli di Marx volto ad annullare il ricordo di un periodo di splendida civiltà confondendolo con le atrocità belliche.
Non per smania di autocitazione, ma solo per conferire ancora una riprova della piena condivisione della tematica di questo Convegno, desidero ricordare brevemente come con la rivista Il Cerchio, e ancora prima con il Circolo di Alleanza Culturale, con molti degli stessi presenti in questa sala abbiamo iniziato un lungo percorso fatto di convegni e manifestazioni, di fascicoli monografici, di numeri speciali, volto a conservare le sacrosante memorie.
Si sente da più parti parlare della necessità di trovare intese nuove per poter affrontare l’incerto futuro che si prospetta per i giovani e meno giovani. E, naturalmente, potremmo tutti essere d’accordo nel collaborare alla costruzione del nuovo, con l’unica essenziale condizione del riconoscimento e del rispetto della storica esperienza che appartiene solo a chi non ha dimenticato.
Ecco perché ringrazio di cuore gli organizzatori e i relatori di questo Convegno e saluto cordialmente tutti gli intervenuti.
GIULIO ROLANDO
( sintesi dell’intervento per il Convegno)