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CONTROSTORIA FUTURA

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IL 371° CAMP P.W. Il CAMPO DI CONCENTRAMENTO ANGLOAMERICANO DI PADULA

Ho letto con vivo interesse l’articolo dell’amico Pietro Cappellari sul campo di concentramento di Padula, il 371° Camp P.W., poi diventato «A» Civilian Internee's Camp. Offre una realistica immagine del nostro Paese a 150 anni dalla proclamazione del Regno d’Italia. Fa soffrire a leggerlo. Ma è così, purtroppo. Con le bandiere assenti o stracciate, più simili a cenci sbiaditi e laceri che a simboli d’onorare, con gli studenti che non conoscono la storia patria e con le guide che dicono corbellerie.    
Alcuni anni fa partecipai a un corso d’aggiornamento a Padula. Si teneva alla Certosa e vi fu organizzata una visita guidata. Vi ero già stato alcune volte. La guida era preparata per quanto riguardava la parte artistica, ma era all'oscuro di quanto accaduto in quel luogo nel Novecento. Non so se fosse la stessa guida di cui parla Piero. Io in quel periodo stavo facendo delle ricerche sul campo di Padula.  Avevo letto in pratica, dedicandovi molti mesi della mia vita, tutta la memorialistica dei “padulini”, gli “ospiti” del Campo di concentramento di Padula, rinchiusi nella Reggia del silenzio. Volevo scrivere un capitolo sui siciliani reclusi a Padula dal 1944 al 1945. Scrissi poi un capitolo di una quarantina di pagine sul tema. Fa parte di un libro che conto di pubblicare tra uno o due anni sui crimini compiuti dagli angloamericani in Sicilia. E’ in attesa della prossima stampa di un altro mio libro sui governi militari d’occupazione. Chiamai a parte la guida e le dissi quanto da me conosciuto. Poi me ne andai a vedere, scavalcando una parete, i disegni che i “fascisti” fecero per lasciare traccia del loro passaggio e a salutare un esperto di storia locale, con il quale ebbi un proficuo scambio d’idee sulle tristi vicende della Certosa. I disegni si stanno inesorabilmente rovinando e sono preclusi alla visita dei normali e ignari visitatori. Alcuni sono andati perduti, forse per sempre, e ne resta traccia solo in poche fotografie. Sarebbe auspicabile un intervento di chi di competenza per salvaguardare un pezzo della nostra storia nazionale. Forse qualcuno però vuol far sparire questi disegni politicamente scorretti.
Alla Certosa furono rinchiusi prigionieri di guerra austro-ungarici durante la Grande guerra; e dal 1941 fino all’Armistizio dell’8 settembre quelli anglo-americani, in particolare gli ufficiali. Erano custoditi da militari italiani. Dalla fine del 1943 cominciarono ad arrivare i fascisti ritenuti “pericolosi” per lo sforzo bellico angloamericano, qualche comunista che dava fastidio alle autorità d’occupazione, molte donne che non si erano piegate alle voglie dei “liberatori”, e tanti sventurati che vi finirono per errore, perché non vollero ad esempio cedere una bicicletta o un orologio a un militare britannico o americano, per vendetta privata o politica. Vi furono incarcerati anche diversi tedeschi, comprese alcune donne e un omosessuale che divenne molto apprezzato per i suoi servigi nel campo.  
Agli inizi il campo fu “attrezzato” con paglia per terra nei gelidi cameroni ventilati da ampi finestroni privi di vetri, i flats. Anche nel gelido inverno di Padula, sotto la neve, tutti, giovani e vecchi, dovevano attendere senza pietà, totalmente nudi all’aperto, il turno per sottoporsi a un’obbligatoria doccia fredda. Gli inglesi non si vergognarono di alimentare i prigionieri nei primi tempi esclusivamente con ghiande e un po’ di tè e latte, che dei guardiani indiani davano sgarbatamente. Alcuni “padulini” dovettero trascorrere lunghi mesi nelle tende, i wings, montate nel patio.
Alla Certosa, che poteva ospitare duemila prigionieri, transitarono tanti sfortunati; considerati gli avvicendamenti in altri campi e carceri, potremmo parlare di almeno ventimila internati passati da Padula e poi finiti altrove, ad esempio a Terni. Erano chiamati corpi. A Padula, insieme a tanti poveri diavoli, furono ospitati il principe Valerio Pignatelli, capo del Fascismo clandestino al Sud - che, durante la sua prigionia, fu considerato il capo spirituale dei fascisti lì concentrati - Nando Di Nardo, suo vice, e tanti loro camerati; i fascisti clandestini del MUI (Movimento Unitario Italiano) di Catania e tanti altri civili arrestati preventivamente. A Padula fu pure imprigionato Salvatore Ruta, animatore del gruppo di fascisti clandestini di Messina, con alcuni suoi camerati. Tra le 300 donne imprigionate, spiccavano le figure della principessa Maria Pignatelli e dell’instancabile Elena Rega del Fascismo clandestino napoletano. Tra i “padulini” noti troviamo tra gli altri, Paolo Orano, Achille Lauro, Giorgio Nelson Page, Gaetano Zingali, Valentino Orsolini Cencelli. A Padula furono rinchiusi tanti ex: generali - Nicola Bellomo, poi fucilato dagli inglesi, Ezio Garibaldi -, senatori, ex consiglieri nazionali, federali, professori, podestà, avvocati celebri e il ministro Polverelli. Finì alla Reggia del silenzio anche Cesare Rossi, il memorialista del tempo della Quartarella, il periodo seguito al delitto Matteotti. Ciò nonostante avesse passato lunghi anni nelle prigioni mussoliniane, per le sue dichiarazioni contro il Duce. La logica avrebbe voluto che fossero classificati come meriti antifascisti. Gli angloamericani non ci andavano tanto per il sottile. Tra i prigionieri leggiamo i nomi di Carlo e Renato Guggenheim, ricchi israeliti di Napoli, nessuno sapeva perché non si trovassero invece tra i liberatori. Sui detenuti a Padula scrive il catanese Gaetano Zingali nel suo libro L’invasione della Sicilia: “Il più vecchio aveva 83 anni e il decano dei Siciliani, il fiero e generoso tenente generale Giannitrapani (che era considerato civile perché già fiduciario di non so quale circolo rionale di Palermo) ne aveva allora 76. Sempre a Padula vedemmo un giorno arrivare un pastorello abruzzese di undici anni, internato per passaggio di linea. In tema di umanità ricorderò anche il caso del giovane Gulisano da Centuripe, trattenuto un anno pur privo completamente di una gamba; e che fra i Siciliani ve ne erano malati di cancro, di ulcera gastrica ed altro”.
A Padula c'erano circa 300 donne, italiane e straniere. Di tutte le età e categorie. Erano accusate di essere state ausiliarie della R.S.I., presunte o autentiche spie tedesche, femmine non disponibili verso i militari della V o dell'VIII armata, parenti d’italiani ostili agli invasori. Molto rumore destò l'arrivo nel campo di alcune giovani donne dell'Italia Centrale, punite per essersi rifiutate di essere "cortesi" professionalmente verso i "liberatori". Claudia Ressia, aveva le mansioni di “capitana” corrispondente all'incirca all'incarico di “Maresciallo” di wing nel reparto maschile. La sorveglianza del reparto femminile era affidata a una tedesca: Inge Leonard.
Probabilmente i soli prigionieri morti alla Certosa furono i fascisti. Alcuni pagarono per la mancata o ritardata assistenza sanitaria prestata dai carcerieri britannici, come il famoso scrittore Paolo Orano; altri furono uccisi durante sfortunati tentativi d’evasione come il giovane Migliavacca, durante il quale fu ferito gravemente un altro giovane, tale Poltronieri; alcuni impazzirono a causa della detenzione.
E’ un’ottima idea la provocazione di Pietro Cappellari, di mettere una lapida alla Certosa in ricordo degli “ospiti” di S. M Britannica là detenuti. Serve a smuovere le acque e rompere il muro del silenzio. Io penso che si dovrebbe organizzare un convegno scientifico sul tema. Per il quale offro la mia disponibilità a partecipare come relatore, per quanto di mia conoscenza. Il campo di concentramento di Padula fu chiuso nel settembre 1945. Sono passati 66 anni dalla sua chiusura. E’ ora di stabilire la verità dei fatti. Un rilevante contributo in tal senso potrebbe arrivare dalle Istituzioni, in primo luogo dalla civica amministrazione di Padula, non nuova a simili iniziative che riguardano la storia della Certosa nel 900.
Non vorrei, che per ignoranza e/o malafede, fosse compiuto un falso storico e che le vittime diventassero colpevoli di un reato mai commesso.

Bagheria, 6 novembre 2011

                                                                                                 Giovanni Bartolone

Giovanni Bartolone, nasce a Palermo nel 1953, ove insegna Diritto ed economia nelle Scuole Superiori. Vive a Bagheria (Palermo). E’ laureato in Scienze Politiche, indirizzo Politico Internazionale, con una tesi sul Referendum istituzionale Monarchia – repubblica del 1946. Ha conseguito un Master sul Medio e Vicino Oriente presso l’Istituto Enrico Mattei di Roma, con una tesi dal titolo Le operazioni di stabilizzazione. I governi militari d’occupazione in Sicilia, a Napoli, in Germania e in Iraq. E' da molti anni impegnato in ricerche sulla Seconda guerra mondiale, il Fascismo, il Nazionalsocialismo, il fenomeno della Mafia, la Sicilia dallo sbarco Alleato alla morte di Salvatore Giuliano.  Ha pubblicato nel 2005 il libro Le altre stragi, Tipografia Aiello & Provenzano, Bagheria, dedicato alle stragi alleate e tedesche nella Sicilia del 1943/44 e il saggio Luci ed ombre nella Napoli 1943-1946, in AA. VV., ISSES, Napoli, 2006. E’ attualmente impegnato in studi sui crimini commessi dagli anglo-americani in Sicilia nel 1943, durante l’occupazione della Sicilia. Ha collaborato a Candido, Historica Nova e Storia del Novecento. Può essere contattato al seguente indirizzo di posta elettronica: gbartolone1@alice.it