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CONTROSTORIA FUTURA

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La canzone del Quarnaro

LA CANZONE DEL QUARNARO
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La canzone del Quarnaro commemora l'impresa di tre MAS della Marina da guerra italiana, alla quale partecipò anche D'Annunzio. Popolaresca nel ritmo e nel linguaggio, come dimostra la presenza del ritornello, che torna leggermente variato alla fine di ogni strofa, e come dimostra anche la ripresa, alla fine del componimento, dell'intero motivo iniziale, interpreta meglio che non il diario in prosa, il senso della spedizione. La macabra ebrezza di lotta e di morte che ispira il componimento è frequentemente smorzata dal tono canzonatorio delle invettive antiaustriache e dal sarcasmo dela battuta plebea. Non manca neppure il tocco di qualche descrizione paesistica, che alleggerisce l'eccesso di retorica, spesso tipico della poesia dannunziana.

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D'Annunzio
nella tipica tuta aviatoria, con la quale compì una serie di incursioni sul Carso e soprattutto i voli propagandistici su Trieste e Vienna
    Tibi cornua nigrescunt
    Nobis arma dum clarescunt

Siamo trenta d'una sorte,
e trentuno con la morte.
   Eia, l'ultima!     Alalà!

Siamo trenta su tre gusci,
su tre tavole di ponte:
secco fegato, cuor duro,
cuoia dure, dura fronte,
mani macchine armi pronte,
e la morte a paro a paro.
   Eia, carne del Carnaro!
   Alalà!

Con un'ostia tricolore
ognun s'è comunicato.
Come piaga incrudelita
coce il rosso nel costato,
ed il verde disperato
rinforzisce il fiele amaro.
   Eia, sale del Quarnaro!
   Alalà!

Tutti tornano, o nessuno.
Se non torna uno dei trenta
torna quella del trentuno,
quella che non ci spaventa,
con in pugno la sementa
da gittar nel solco avaro.
   Eia, fondo del Quarnaro!
   Alalà!

Quella torna, con in pugno
il buon seme della schiatta,
la fedel seminatrice,
dov'è merce la disfatta,
dove un Zanche la baratta
e la dà per un denaro.
   Eia, pianto del Quarnaro!
   Alalà!

Il profumo dell'Italia
è tra Unie e Promontore.
Da Lussin, da Val d'Augusto
vien l'odor di Roma al cuore.
Improvviso nasce un fiore
su dal bronzo e dall'acciaro.
   Eia, patria del Quarnaro!
   Alalà!

Ecco l'isole di sasso
che l'ulivo fa d'argento.
Ecco l'irte groppe, gli ossi
delle schiene, sottovento.
Dolce è ogni alebero stento,
ogni sasso arido è caro.
   Eia, patria del Quarnaro!
   Alalà!

Il lentisco il lauro il mirto
fanno incenso alla Levrera.
Monta su per i valloni
la fumea di primavera,
copre tutta la costiera,
senza luna e senza faro.
   Eia, patria del Quarnaro!
   Alalà!

Dentro i covi degli Uscocchi
sta la bora e ci dà posa.
Abbiam Cherso per mezzana,
abbiam Veglia per isposa,
e la parentela ossosa
tutta a nozze di corsaro.
   Eia, mirto di Quarnaro!
   Alalà!

 

Festa grande. Albona rugge
ritta in piè su la collina.
Il ruggito della belva
scrolla tutta Farasina.
Contro sfida leonina
ecco ragghio di somaro.
   Eia, guardie del Quarnaro!
   Alalà!

Fiume fa le luminarie
nuziali. In tutto l'arco
della notte fuochi e stelle.
Sul suo scoglio erto è San Marco.
E da ostro segna il varco
alla prua che vede chiaro.
   Eia, sbarre del Quarnaro!
   Alalà!

Dove son gli impiccatori
degli eroi? Tra le lenzuola?
Dove sono i portuali
che millantano da  Pola?
A covar la  gloriola
cinquantenne entro il riparo?
   Eia,chiocce del Quarnaro!
   Alalà!

Dove sono gli ammiragli
d'arzanà? Su la ciambella?
Santabarbara è sapone,
è capestro ogni cordella
nella ex voto navicella
dedicata a San Nazaro.
   Eia, schiuma del Quarnaro!
   Alalà!

Da Lussin alla Merlera,
da Calluda ad Abazia,
per il largo e per il lungo
siam signori in signoria.
Padre Dante, e con la scia
facciam "tutto il loco varo".
   Eia, mastro del Quarnaro!
   Alalà!

 
Siamo trenta su tre gusci,
su tre tavole di ponte:
secco fegato, cuor duro,
cuoia dure, dura fronte,
mani macchine armi pronte,
e la morte a paro a paro.
   Eia, carne del Carnaro!
   Alalà!

11 febbraio 1918

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I protagonisti della "Beffa di Buccari":
Luigi Rizzo, G. D'Annunzio e Costanzo Ciano



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"Eia, carne del Carnaro! Eia Eia Alalà!" Così recita la “Canzone Quarnaro” del comandante Gabriele d’ Annunzio.
Il motto venne ripreso nella seconda guerra mondiale, ma cosa vuol dire, e da cosa deriva? Il famoso detto dannunziano “EIA EIA ALALA’” (oppure "eja eja alalà") altro non è che la ripresa di un grido di guerra dell’antica Grecia, che si vuole pronunciato, nell’ambito dell’epos, da Achille.

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L’esclamazione, in greco antico a-̃a eiei lalάãa (éia =, risulta composta dalla interiezione ei lalάsu-via-coraggio! ) , ripetuta due volte, e dalla parola onomatopeica a lalάzw(alalà), intraducibile, formatasi dalla stessa radice del verbo a (alalàzo=levo un grido di guerra). La patina arcaica dell’espressione è data, in lalή, più recente.lalά in luogo dell’attico aparticolare, dal dorico a
Ecco un' altra testimonianza della cultura del Poeta e del fatto che abbia radici profondissime.

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