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IL TENTATO AFFONDAMENTO DELLA “CRISTOFORO COLOMBO”
 E IL MISTERIOSO AFFONDAMENTO DELLA EX “GIULIO CESARE”

Francesco Fatica

LA CONSEGNA DELLE NAVI, IL MITO  DELLA “CRISTOFORO COLOMBO”

   Quando giunse l’ordine di andare a Malta, pur avendo avuto assicurazioni che non si trattava di una resa, che non sarebbe stata ammainata la bandiera, pur avendo gli ammiragli di Supermarina invocato il bene supremo della Patria ed altre considerazioni poi rivelatesi menzognere, il dissenso tra gli ufficiali e tra i marinai era stato tanto preoccupante da costringere qualche ammiraglio, prono agli ordini del monarca in fuga, a far montare scolte armate di guardia alle riservette delle munizioni e delle armi portatili, paventando sabotaggi o sommosse ed ammutinamenti in navigazione, quali effettivamente avvennero sulla corazzata Giulio Cesare. Poi ci pensarono gli ottusi attacchi dell’aviazione tedesca  a togliere a qualche marinaio ogni residua voglia di tener fede alla parola data.

 Tuttavia quando si seppe della consegna delle navi a potenze straniere, ed in particolare all’URSS, il fermento della reazione ricominciò a montare tra gli equipaggi.

   Nel 1947 le navi da cedere alla Russia, in attesa della consegna, erano ancorate nella base navale di Taranto sotto stretta sorveglianza, che si esplicava  per mezzo di ronde, sia sulla banchina che in tutto il porto; inoltre erano state anche disposte riservate perlustrazioni e controlli dei servizi segreti della Marina Militare in città e nei dintorni, tenendo d’occhio particolarmente ambienti fascisti.

   Di più, intorno alle navi avvenivano continue ispezioni subacquee con palombari e uomini-rana, per il timore che elementi dissenzienti della stessa Marina Militare potessero applicare alla carena delle navi ordigni esplosivi in grado di provocarne l’affondamento.

   I giovani dei Far[1], guidati da Clemente (Lello) Graziani e Franco Dragoni,  avevano preso di mira la nave scuola “Cristoforo Colombo”, che aveva allenato e addestrato alla vita di mare  decine e decine di generazioni di ufficiali, i quali si erano arrampicati sulle sartie dei suoi tre alberi per manovrare le vele secondo la più classica e audace tradizione marinara.

   La “Cristoforo Colombo” quindi era un mito, rappresentava tutta la Marina Militare italiana; bisognava sottrarla all’onta della cessione allo straniero, onta che feriva l’orgoglio nazionale e veniva aggravata dal fatto che questo paese straniero era la culla del comunismo.

   Ma il piano dei giovani “faristi” venne scoperto dai servizi segreti della Marina Militare in stretta collaborazione con polizia e carabinieri, i quali avevano da tempo infiltrato talpe nei Far.

   Il 20 gennaio 1949 vennero arrestati a Taranto lo studente universitario Clemente Graziani ed il motorista Biagio Bertucci, mentre a Roma la polizia arrestò altri cinque ex marò proprio quando, alla stazione Termini, stavano per prendere il treno per Taranto. Erano  Paolo Andriani, Sergio Baldassini, Fabio Galiani, Fabrizio Galliani, e Alberto Tagliaferro, reduci del battaglione “Barbarigo” della XMas; che si erano coperti di gloria  sul fronte di Nettuno nel ’44. Nelle valigie vennero trovati sette chili di tritolo.  Un altro reduce  della XMas, Vladimiro Villani, venne arrestato a Lecce il 25 gennaio e nei giorni seguenti finirono in manette altri sette congiurati che si preparavano a far la loro parte. Tra essi Franco Dragoni  e lo studente Antonio Ajroldi, figlio di un noto magistrato.

   A Taranto e a Roma avvennero clamorose manifestazioni di solidarietà per gli arrestati, manifestazioni tumultuose anche a Bari e a Brindisi. A Roma, in particolare, scoppiarono violenti scontri con la “Celere” con lanci di pietre e anche, in qualche caso, con corpo a corpo furibondi. Gli scontri si protrassero per tutta la giornata in tutto il centro cittadino.

La “Cristoforo Colombo”, poi, una volta acquisita dalla flotta sovietica, fu addirittura disalberata e adibita al trasporto di carbone. Supremo oltraggio per la Marina italiana, ma anche palese e ignominiosa mancanza di tradizioni marinare nella Marina sovietica e chiara ammissione di incapacità di manovrare un classico trealberi attrezzato con vele quadre.

IL MISTERO DELL’AFFONDAMENTO DELLA EX “GIULIO CESARE” 

   Ma molti anni dopo il fallito tentativo di affondare la  “Cristoforo Colombo”  da parte del gruppo di Clemente Graziani, una misteriosa esplosione nella base navale sovietica di Sebastopoli fece pensare che i marinai d’Italia non avevano dimenticato.

   Verso le ore 22 e 55 ( minuto più, minuto meno ) del 28 ottobre 1955 la corazzata ”Novorossijsk” (ex “Giulio Cesare”, ceduta all’URSS in esecuzione del trattato di pace) fu squarciata da una fortissima esplosione – registrata anche dai sismografi della Crimea – che perforò lo scafo, le piattaforme e tutti i ponti  della parte prodiera della nave da battaglia, provocando una falla spaventosa:  (48 mq.circa).[2]

   All’epoca si parlò di una mina da fondo tedesca, che sarebbe stata urtata da un’ancora della stessa nave, ma  questa ipotesi si rivelò insostenibile poiché la “Novorossijsk”  era ormeggiata alla boa N° 5 e quindi «non aveva dato fondo all’ancora.»( amm. B. N. Bobkov)[3]

   Ma anche altri, a cominciare  dallo stesso amm. Kuznetsov, comandante in capo della flotta sovietica, si dimostrarono scettici in proposito.[4]

  Ancora più concretamente l’amm. Bobkov, a conclusione delle sue riflessioni, ( citate nella nota 3) accreditò l’ipotesi di un sabotaggio ad opera di una squadra di incursori della  Marina Italiana.[5]

   Nel 1992 su Il Tempo  dell’8 aprile fu riportata una “smentita” dell’amm. Gino Birindelli ad un articolo sull’argomento, apparso sulla stampa a Mosca, suscitando vivo interesse anche all’estero. Birindelli affermava testualmente:«Magari fossimo stati noi ad  affondare la corazzata Giulio Cesare, che avevamo dovuto cedere all’ Unione Sovietica in conto riparazioni danni di guerra! Le presunte rivelazioni del settimanale moscovita  “Soverenho Secretno” [top Secret, n.d.a.],sono una patacca, una patacca navale»

  Secondo Nicolaj Cercashin, autore dell’articolo, la nave da battaglia sarebbe stata minata da  un gruppo di uomini–ranaagli ordini di Junio Valerio Borghese, comandante della Decima Flottiglia Mas.  Il gruppo sarebbe stato composto da Gino Birindelli, Elios Toschi, Luigi Ferraro M.O.V.M., ed Eugenio Wolk [comandante dei “gamma”, gli uomini-rana della R.S.I.]: un’equipe di prim’ordine, non c’è che dire, ma soltanto frutto di fantasia.

    Il giornalista  russo ipotizzava un attacco portato con sommergibili tascabili, che avrebbero trasportato gli incursori nei pressi del bersaglio. Tale dettaglio tecnico pare poco attendibile, perché avrebbe comportato la disponibilità di mezzi di difficile reperimento, dovendo ovviamente escludere la complicità della Marina Militare italiana; tuttavia, se trascuriamo per il momento le modalità di avvicinamento al bersaglio, vorrei esporre prioritariamente considerazioni di carattere generale:

1)    Se accettiamo l’ipotesi, ovviamente la più  concretamente attendibile, che l’amm. Birindelli effettivamente non abbia partecipato all’azione clandestina di sabotaggio, ciò non esclude però che altri, senza che lui ne abbia saputo nulla, abbiano potuto partecipare al raid.  Esistevano infatti nel 1955 più di un centinaio di ex combattenti della XMas che erano stati istruiti, preparati e allenati severamente per l’attività di incursori; si trattava di ex appartenenti al ”Gruppo Gamma”, che nel 1955 erano ancora vegeti e vitali, meno anziani dei “campioni” citati dal giornalista russo e sempre ferventi di sacro sdegno per l’onta ricevuta dalla Marina italiana.

2)    Comunque questi altri ipotetici incursori che avessero voluto rivendicare  la responsabilità dell’azione sarebbero stati costretti a tacere per non soccombere alle incalcolabili, ma imprevedibili responsabilità di ordine morale, penale e civile, conseguenti all’attentato. Infatti  il disastro  produsse più di seicento vittime tra i marinai dell’equipaggio ed i soccorritori. La tragedia, però, fu aggravata dall’impreparazione dei soccorritori e degli ufficiali della nave stessa, la quale avrebbe potuto essere rimorchiata ad insabbiarsi in bassi fondali, evitando così il capovolgimento, che provocò moltissime vittime rimaste tragicamente intrappolate nella nave.

3)    Va inoltre tenuto presente che, se furono incursori italiani a tentare il sabotaggio, ebbero l’enorme vantaggio del fattore sorpresa, in quanto i russi, essendo ormai trascorsi dieci anni dalla fine della guerra, non sospettavano più di essere attaccati e, oltre tutto, nel mar Nero,     considerato un lago russo e, a maggior ragione, addirittura nella base di Sebastopoli. Pertanto ufficiali ed equipaggio si sentivano al sicuro, quindi la sorveglianza intorno alla nave era soltanto quella superficiale e formale del tempo di pace. Mentre incursori italiani, come si sa, erano stati capaci di eludere ben più agguerrite e coordinate misure di sorveglianza in tempo di guerra.

4)      Inoltre dobbiamo considerare che gli ipotetici incursori conoscevano bene il punto debole           della nave, che era stata sottoposta nel 1930 a lavori di totale ristrutturazione,  venendo pure allungata di dieci metri, aggiungendo una nuova sezione  a prua,  al corpo della vecchia corazzata, varata durante la prima guerra mondiale. Questa audace operazione di ingegneria navale, per quanto accurata ed attenta, aveva creato un  punto debole proprio nella congiunzione del vecchio scafo con i nuovi elementi strutturali di prua.

      E proprio in questo punto fu portato l’attacco.

5)    Pertanto Nicolaj Cercashin  ipotizzò sagacemente che la carica esplosiva principale fosse stata occultata [in un doppio fondo, n.d.a.]  prima della consegna della nave ai russi.

   E questa non è da considerare un’ipotesi priva di fondamento. Infatti all’epoca vi era molto fermento fra gli equipaggi della Marina Militare, al punto che, durante gli ultimi mesi prima della consegna, gli alti  gradi della Marina ritennero necessarie eccezionali misure di sorveglianza, anche alle carene delle navi destinate alla cessione.

   In particolare la “Giulio Cesare” fu sottoposta ad un regime di strettissima  sorveglianza: addirittura un rimorchiatore girava continuamente intorno alla nave giorno e notte, provvedendo a far immergere palombari ogni mezz’ora per ispezionarne la carena[6]. Questo fatto conferma l’ipotesi che gli ammiragli avessero avuto sentore di un probabile attacco proprio alla “Giulio Cesare”.

   Qualche ammiraglio, infatti, aveva avuto percezione dei propositi di molti fra marinai ed ufficiali in servizio. Pertanto, fu stabilito un regime di oculatissima vigilanza e quindi fu d’uopo per gli ipotetici aspiranti sabotatori rimandare l’operazione; ma non è da escludere perciò che possa essere stato preparato un adeguato sussidio per un’azione futura.

   Va considerato ancora che i russi avevano una conoscenza molto superficiale di alcuni elementi strutturali dell’unità poiché i documenti tecnici sui materiali impiegati erano redatti soltanto in italiano. Si può quindi ragionevolmente ipotizzare  che non tutti i doppi fondi della corazzata siano stati ispezionati. Dobbiamo concludere inoltre che il giornalista russo, avendo intervistato molti esperti, abbia avanzato la sua ipotesi a ragion veduta.

   Ricordo poi che, se c’erano pure stati collegamenti trasversali clandestini tra ufficiali della Decima   al Nord e ufficiali della Marina  del Sud già prima del 1945; a maggior ragione scambi di vedute e collegamenti avrebbero potuto esserci stati dopo per macchinare un sabotaggio.

   Pertanto concordo pienamente con quanto ha scritto Uccio de Santis  su questa ipotizzata incursione:«La nave sarebbe stata minata da un gruppo di incursori italiani per riscattare l’onta della consegna. I particolari dei danni rilevati nell’opera viva, la dinamica degli avvenimenti, il giorno dell’incidente confermano e non smentiscono l’ipotesi.».[7]

6)    Consideriamo adesso le furbesche manovre effettuate  dagli ammiragli russi per occultare la data del sabotaggio.

L’attentato, come si è detto, fu portato ad effetto molto prima della mezzanotte del 28 ottobre, ma versioni successive  ne hanno ritardato scaltramente di più di un’ora l’indicazione (lasciandola tuttavia nel vago per non dover citare una data molto significativa). Distrattamente però qualcun altro è stato preciso, poi, nell’indicare l’ora del capovolgimento della nave, che avvenne alle ore 1,40.  Sennonché si è specificato pure, sempre più distrattamente, che avvenne «due ore e 45 minuti dopo lo scoppio della carica esplosiva», e con ciò si conferma che lo scoppio avvenne alle ore 22,55 del 28 ottobre. Risulta evidente dunque che si è voluta mascherare una data troppo suggestiva.

7)    A questo punto s’impone citare il libro  di V.A. Dardjavin che affronta provocantemente la tesi «di un atto di sabotaggio »[8]. Il contrammiraglio Armando Vigliano, nel recensire il libro citato, scrive:«Per valutare la possibilità di questa tesi, [sabotaggio n.d.a.] nel capitolo quinto, si parla dei mezzi d’assalto italiani e britannici, dei siluri umani, delle azioni contro le corazzate “Valiant” e “Queen Elzabeth” e dell’attacco alla “Tirpitz”.».

   Essendo ben chiaro che gli inglesi non avrebbero avuto alcun interesse ad attaccare una nave russa – e tanto meno poi proprio la ex “Giulio Cesare” e comunque addirittura il 28 ottobre – trascuro  considerazioni sulle deficienze operative dei siluri umani inglesi, i cosiddetti chariots  (dal nome dei sigari di Churchil ), nemmeno lontanamente paragonabili a quelli italiani di cui erano una mal riuscita imitazione.

    I mezzi insidiosi di assalto italiani, usati con successo, durante la seconda guerra mondiale, erano i Siluri a Lenta Corsa(S.L.C.), soprannominati ”maiali”, sostituiti poi dai  perfezionati e potenziati S.S.B. ( Siluri San Bartolomeo ). Come molti sanno, si trattava essenzialmente di siluri che portavano due arditi operatori a cavalcioni. La testata esplosiva di questi ordigni si poteva staccare  per agganciarla al di sotto della carena della nave aggredita.. L’autonomia di questi mezzi poteva essere di sei miglia marine ( poco meno di 12 km.), che si percorrevano normalmente in tre ore.

   Non mi pare assurdo ipotizzare che qualche irriducibile gruppetto di marò e di ufficiali della XMas abbia deciso di occultare uno o più S.L.C. , o anche meglio, S.S.B., prima del crollo del fronte nel ’45, in attesa di poterli utilizzare alla volta buona, analogamente a quanto  altri fascisti fecero – certo più facilmente - con le armi leggere e forse anche pesanti , come sicuramente avvenne per i partigiani.

   Per quanto riguarda l’ipotesi dell’uso di minisommergibili si potrebbe ammettere, per completezza, l’acquisto di un moderno minisommergibile  civile –  per uso turistico, scientifico, di lavoro – ma, in ogni caso, questa ipotesi comporta l’esistenza di un’adeguata organizzazione di sostegno, che potrebbe soltanto congetturarsi nella CIA. Mentre un intervento limitato ad un piccolo gruppo indipendente potrebbe essere ipotizzato intorno al trasporto prima ed all’uso poi, di un “maiale” o anche meglio di un S.S.B.. Il trasporto in zona d’operazioni potrebbe essere avvenuto con un piccolo mercantile, con un peschereccio, ma anche con un piccolo yacht, finanche a vela, agganciandolo sotto la chiglia.  Non escluderei neanche il trasporto a distanza operativa di uomini–rana e delle relative cariche esplosive.

   Esaminate tante ipotesi praticabili, il più profondo mistero rimane nel come è stato effettuato il sabotaggio, ma traspare abbastanza chiaramente la “matrice fascista”, secondo una colorita dizione in uso da certi gazzettieri dell’epoca.  

   Purtroppo l’azione progettata per lavare l’onta della Marina italiana, comportò una strage  aggravata da una pesante incompetenza navale dei russi, che non si poteva prevedere.

                                                                

 



[1]  Fasci d’Azione Rivoluzionaria, movimento clandestino sorto nel dopoguerra.

[2]  Norman Cigar, Perché affondò la  «Novorossisk»? La misteriosa fine della Nave da battaglia «Giulio Cesare», in ”Rivista Marittima”, mensile della Marina Militare,  Anno CXXIII, Gennaio 1990, p. 26.

[3]  Scritto ufficiale pubblicato dalla stampa sovietica a firma dell’amm. di divisione  B. N. Bobkov, dello Stato Maggiore Principale della Marina Sovietica e riportato nell’articolo di Norman Cigar citato, p.27.

[4]  N. Cigar, articolo citato, p. 27 : « l’amm. Kuznetsov ritiene altamente improbabile che una vecchia mina tedesca possa essere esplosa colpendo esattamente il punto più vulnerabile della nave».

[5]  Idem , p.27.

[6]  Tullio Marcon, La Giulio Cesare, ricordi personali di un ragazzo degli anni 40, in “Rivista Marittima”, n. 5, 1989, pp. 109-110.

[7]  Uccio de Santis, Il mistero della “Giulio Cesare”, dattiloscritto inedito, Archivio ISSES, Napoli, 1993,

[8]  V.A.Dardjavin, il mistero dell’affondamento della corazzata Novorossijsk, Politecnico San Pietroburgo,1991.